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La cucina delle province siciliane: Trapani
Articolo inserito il 17/05/2008 alle ore 16.30.31
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I piatti delle varie province siciliane, sia quelli raffinati che quelli popolari e contadini, rispecchiano gli usi alimentari dei diversi popoli che nei secoli si sono avvicendati sull’Isola. In Sicilia la cucina è arte antica e rappresenta l’amalgama perfetto delle influenze delle diverse culture che vi approdarono da ogni angolo del Mediterraneo. La tavola resta il luogo d’introspezione delle diverse civiltà. Una chiave di lettura per ogni provincia: ne racconta storia e civiltà, influenze, miserie e opulenze. Prodotti della terra che vengono da ricchi feudi o pietraie arse dal sole, da coste benedette dal mare o dolci colline ricche di frutti e verdure. Siete nel regno dei sapori e non vi resta che gustarvi la Sicilia.
A titolo di cadeau abbiamo aggiunto una ricetta tipica per ogni capitolo. E’ un nostro piccolo omaggio a quelle donne che le inventarono. Chissà quando.
TRAPANI
Il trapanese è l’ultimo lembo della Sicilia occidentale, terra di Elimi e Fenici. Ma pure luogo preferito da Venere ericina dea dell’amore. La tradizionale vocazione agricola e marinara di Sicilia qui s’incontrano mirabilmente e il risultato è più che soddisfacente. Ogni piatto ha in questi luoghi una sua fisionomia, completamente differente dal resto dell’isola. Terre assolate vocate a vigneti e coste bagnate da tre lati da un mare ricco di ogni sorta di pesce. Terre di grandi odori, da quello dei capperi all’origano, dalla mentuccia al rosmarino: li troverete tutti quanti portati in giro dallo scirocco.
E’ il cuscus il principe della tradizione culinaria trapanese. Piatto che sa di Islam e di Corano, ma che nella versione al pesce ha conquistato il primo posto fra le delizie che offre la Sicilia. La paziente “ ‘ncucciata” della semola, fatta a mano nella “mafaradda”, cotta poi nella “cuscusiera” con i vapori odorosi di cipolla è solo un esempio di quanto la cucina trapanese sia curata e tenuta in alta considerazione. Amore per le buone cose che si ritrova nei “busiati”, specie di fusilli fatti a mano e rallegrati da sughi di pesce, di aragosta o di grassi ragù di maiale. E ci sono a far concorrenza i ravioli amari con sugo, ricotta o mentuccia di Pantelleria. E poi come rinunciare agli “gnocculi” fatti a casa, oppure al pesto alla trapanese con gli odori vivi dell’aglio rosso di Nubia, pomodori e olio d’oliva, nati su terre arse dal sole..
E poi baccalà fritto e cicireddi per introdurre i secondi tutti quanti ricchi di cernie, naselli, cefali, aragoste, murene, saraghi, orate di salina, pesce spada, calamari e seppie; ma dove il tonno ha il suo regno. Fresco oppure seccato al sole, salato, sottolio, assieme alla bottarga fino al rarissimo salame di tonno.
E non difetta la carne. Troverete involtini e braciole, salsicce e stinchi, arrosti misti dove la presenza di carni di agnelli e capretti è indispensabile. E se siete fortunati vi serviranno il coniglio lardato (raro ormai quello selvatico) oppure le lumache alla ghiotta, alla casereccia ed anche al forno. Con il finocchietto selvatico che in collina vive fino a marzo si fanno pure delicatissime polpettine, come insegnarono gli ebrei della Giudecca alcuni secoli fa.
Vantano la fragolina marsalese ed i meloni d’inverno: il “Cartucciaru” di Paceco o il più raro “Purceddu” di Alcamo. Le Egadi e Pantelleria, l’isola di Venere sperduta nell’azzurro del Mediterraneo, sono provincia di Trapani. Ogni piatto in queste isole si trasforma, assume fisionomia propria, e nessuno riesce a spiegarlo. Sono le isole dei capperi il cui aroma è intenso, afrodisiaco e paradisiaco. Non per niente c’entra Afrodite che li volle ad immagine e somiglianza dei suoi divini capezzoli. Sono fra le pietre, gli scogli, sui muri delle case, sulle colline assolate dove non cresce altro, rendendo indimenticabili quei paesaggi. E quei piatti.
Vastissima la gamma dei dolci conventuali ericini, in buona compagnia con i “miliddi” della Valle del Belice, i “muccunedda” di Mazara del Vallo, le “cassateddi” fritte con la ricotta dentro che troverete dappertutto. Unico resta il cannolo trapanese: una specie di cannolo gigante buono per tre persone!
RICETTA
Aragosta arrostita alla trapanese
Una aragosta viva da Kg. 1,500 circa
3 pomodori non troppo maturi
6 cucchiai d’olio d’oliva
1 limone
Prezzemolo, sale e pepe
Sbollentate l’aragosta legata a una tavoletta di legno e, quindi, tagliatela per lungo. Completate la sua cottura sulla griglia prima dalla parte della corazza e poi, molto velocemente, dalla parte della polpa. Preparate una salsetta tagliuzzando il pomodoro senza i semini, aggiungeteci il prezzemolo tritato fine, l’olio, il sale e pepe ed a piacimento, il succo del limone.
Versare sull’aragosta e servire.
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