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La cucina delle province siciliane: Agrigento
Articolo inserito il 12/04/2008 alle ore 17.17.12
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I piatti delle varie province siciliane, sia quelli raffinati che quelli popolari e contadini, rispecchiano gli usi alimentari dei diversi popoli che nei secoli si sono avvicendati sull’Isola. In Sicilia la cucina è arte antica e rappresenta l’amalgama perfetto delle influenze delle diverse culture che vi approdarono da ogni angolo del Mediterraneo. La tavola resta il luogo d’introspezione delle diverse civiltà. Una chiave di lettura per ogni provincia: ne racconta storia e civiltà, influenze, miserie e opulenze. Prodotti della terra che vengono da ricchi feudi o pietraie arse dal sole, da coste benedette dal mare o dolci colline ricche di frutti e verdure. Siete nel regno dei sapori e non vi resta che gustarvi la Sicilia.
A titolo di cadeau abbiamo aggiunto una ricetta tipica per ogni capitolo. E’ un nostro piccolo omaggio a quelle donne che le inventarono. Chissà quando.
AGRIGENTO
E’ fascinosa la campagna agrigentina, per nulla diversa, forse, da come la videro gli antichi sicelioti. L’iconografia ufficiale ce la presenta, naturalmente, con i mandorli in fiore mentre c’è ancora la neve tutt’attorno. Colorata anticipazione della primavera. Vedrete paesaggi antichi fatti di ulivi, fichi, pistacchi e mandorli accanto alle vestigia dei templi. Spesso con il mare sul fondo. Di fronte a voi c’è l’Africa.
Un tempo la ricchezza di una famiglia agrigentina si esprimeva con le “fastuchiere” possedute: “fastuca” fu il frutto e l’albero del pistacchio in siciliano. Tante le pecore, ma poche le capre: a Canicattì resistono le ultime capre girgentane, antichissima razza autoctona, tipica per le lunghe corna a forma di cavatappi.
La cucina di questa provincia affonda le sue radici in epoche di splendori greci e romani e riflette la sua vocazione prettamente agricola. Con legumi e verdure sopratutto.
La pasta, sovrana dei primi, ha condimenti semplici e genuini. Esibisce gli spaghetti alla Pirandello con pomodoro e dadi di tuma. Sulle coste si condisce con sughetti di pesce, nell’interno con verdure o semplicemente con l’olio d’oliva e pecorino. La “cuccìa” è minestra di grano oppure farro bollito, e viene insaporita con ricotta di pecora: fu il piatto dei pastori. Non va dimenticato il famoso “tagànu” di Aragona. Si tratta di un tegame di rame pieno di un chilo di maccheroni rigati, 50 uova, un chilo di tuma, tritato e brodo di carne, cannella, prezzemolo e pepe nero, tutto quanto cotto in forno per due ore: questo serviva, una volta, a sfamare quattro persone!
La famosa salsiccia di Aragona si festeggia con una sagra alla seconda domenica di settembre. In tutto l’agrigentino il cosciotto di castrato viene servito “abbuttunato”, cioè steccato con aglio e prezzemolo e rosolato nel forno a pietra. Indimenticabile.
Fra le verdure, spiccano le melanzane “a quaglia” steccate con caciocavallo e aglio e stufate in salsa di pomodoro. Ma si fanno ancora fritte, arrostite sulla brace, sottolio, in agrodolce, a caponata, infornate con salsa e caciocavallo, a dadini o sfilacciate come stelle filanti sugli spaghetti o sulle pennette. Non male il “civu” dei carciofi ripieni di prezzemolo, acciughe e pangrattato che viene dalla cucina ebraica. A Pasqua si fanno arrostire intere nella brace in occasione di gite fuori porta, come si diceva una volta.
Spostandoci sulle coste c’è il buon pesce di Porto Empedocle e Licata. Da non perdere le sogliole che da queste parti si fanno arrostite alla brace, alla piastra, oppure in zuppa con pomodoro, aglio e prezzemolo. Notevoli le triglie di scoglio che finiscono generalmente fritte o arrostite in gratella. Le sarde sono dappertutto: alla brace, in “turtera”, fritte, gratinate, farcite al prezzemolo. Curioso assai il dentice al brodo di carne: un mare e monti di antica data, a quanto pare.
Ricercate le fragoline di Canicattì e Ribera, che vanta pure le “riberelle”, arance della varietà Navel, più nota come “brasiliana”.
Dolce tipico di Agrigento e Favara è l’agnello pasquale di pasta di mandorle farcito di morbida, profumata pasta di pistacchio. Specialità delle monachelle del convento agrigentino di Santo Spirito è il cuscus di pistacchi e mandorle: una sorta di infedele trasgressione che sa di peccato.
Ma c’è ancora la tentazione dei “cucchiteddi” di Sciacca, i “pasticciotti” di Menfi, la torta di noci, le paste di riso... Il dolce più insolito, in ogni caso, resta la marmellata di zucchina verde che nella sua confezione prevede un vero antico rituale.
RICETTA
Castrato alla brace
Kg. 1 di fette di castrato
Mezzo bicchiere d’olio d’oliva
4 limoni freschi
sale e pepe
In una scodella mettete assieme l’olio, il sale e il pepe sbattendo per amalgamare. Metteteci a bagno le fettine per qualche minuto e ponetele, poi, sulla gratella. Girare per ogni lato e servire molto caldo con abbondante succo di limone.
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