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Il Moscato Netino vino da Papa
Articolo inserito il 15/10/2007 alle ore 22.15.36
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I vini siciliani godono di grande prestigio. Dopo un periodo di sofferta frustrazione d’immagine legata a cause diverse e non solo qualitative, i vitivinicultori siciliani hanno dato vita a una nuova era bacchica. Un vero rinascimento.
La nostra è isola di sole, di mare e di cieli azzurri che trasforma il succo linfatico della vite in colori, profumi e sapori. Capaci di produrre miracoli apprezzati in tutto il mondo. Non dimentichiamo che al nostro marsala vennero riconosciute inattese virtù terapeutiche quando, durante il proibizionismo in USA, fu importato con l’etichetta “Hospital Size”...
Ma quella del vino di Marsala è storia recente. Andrea Bacci, fu medico e naturalista vissuto nel Cinquecento e morto nei primi giorni del 1600. Professore di botanica, medico di Papa Sisto V, scrisse parecchie opere anche se il suo libro più famoso è il “De naturali vinorum historia, de vinis Italiae et de conviviis antiquorum”. In sette tomi.
Si parla ampiamente dei vini siciliani dell’epoca citando i rossi dell’Etna, quelli del Palermitano, dicendo mirabilia dei vini di Cammarata, in provincia di Agrigento. Scrisse, addirittura, che in quella zona crescevano “viti della grossezza di un omo” e così feconde che bastavano i frutti di dieci piante per riempire una botte di mosto. Secondo Bacci, inoltre, la bontà dei vini dell’Etna era da attribuirsi “al natural calore che si sprigiona sotto le terre di quei colli”...
Grandi cose disse anche dei vini di Noto. Ed a ragione.
Il 18 agosto del 1559 morì alla bella età di 83 anni papa Paolo IV, al secolo Gian Pietro Carafa, di nobile famiglia avellinese, nipote del cardinale Oliviero Carafa che ne aveva favorito la carriera ecclesiastica. Non per nulla a soli 27 anni era già Protonotaro Apostolico e Vescovo di Chieti. Fu in quella città che conobbe Gaetano da Thiene un sacerdote vicentino a cui succedeva che la Madonna gli affidasse, lanciandoglielo, il Bambino che teneva in braccio... Anche se in giro si sussurrava che amasse il buon vino. Pazienza: le vie del Signore sono infinite.
Tra i due uomini di Chiesa nacque una bella amicizia, rinnovata, osiamo pensare senza malizia, con brindisi sinceri. Di quelli che, proprio grazie al buon vino, rinsaldano le amicizie, rinfrancano gli spiriti anche quelli più eletti sol perché riescono a portare alla luce i segreti nascosti dell’anima. Fu da questo bel rapporto d’amicizia che nel 1524 i due fondarono la Congregazione dei Teatini , subito approvata da papa Clemente VII. La sua regola voleva la restaurazione del clero riportato all’ideale apostolico primitivo. Nel 1583 Orsola Benincasa ne istituì l’omonima Congregazione femminile con il titolo di Teatine dell’Immacolata Concezione di Maria.
Carafa divenne cardinale nel 1536. Non fu di quelli accomodanti, tanto che non potè prendere possesso della cattedra arcivescovile di Napoli per l’opposizione di Carlo V. Era chiaro a tutti che non poteva sopportare la Spagna e gli Asburgo. Era più forte di lui. Alla morte di Papa Paolo III si cercò un successore che fosse gradito a tutti, ma i cardinali in conclave non riuscivano a prendere una decisione visto che nessuno dei candidati aveva il placet della corona francese e pure di quella spagnola.
Fu così che gli occhi di tutti i porporati s’appuntarono su di lui. Era il papa perfetto: avanti negli anni, cagionevole di salute, amante del buon bere, intransigente e pure di retta moralità. Infatti aveva cacciato fuori dal Vaticano, per scandalosa condotta, pure i suoi nipoti. Perfetto. Un dignitoso pontefice di transizione, di quelli che durano poco in attesa di eleggerne uno di “alto gradimento”. E fu eletto papa con il nome di Paolo IV.
Lasciò questa valle di lacrime alla bella età di 83 anni, ma sol perché “non mancò mai il netino alla sua mensa”. Parola di Sante Lancerio, Sommelier Pontificio. Evviva.
Per chi non lo sapesse il “netino” è antichissimo moscato di Noto, in provincia di Siracusa. Nasce da uve “Moscatello” dette pure “Moscato Giallo”; ha un bel colore giallo dorato intenso, fragranze sue proprie, sapore che va dall’amabile al dolce su vena aromatica. Si sa pochissimo di questo mitico vino che secondo qualche studioso ci verrebbe dal greco Biblinos citato da Teocrito nel 300 a.C.. Conosciuto pure come Pollio perché portato a Siracusa da tale Pollio dalla Biblina, regione della Tracia. Ma sarà così?
Nel 1802 il siracusano Saverio Lanolina Nava, studioso insigne di cose siciliane, scrisse che il Pollio e il Biblino erano lo stesso vino. Si rifaceva ad una nota di Ippia di Regio riferita da Ateneo, un erudito greco vissuto attorno al III sec. D.C.
La cosiddetta vite Biblia si considerava introdotta in Sicilia da tale Pollis Argivo che poi divenne tiranno di Siracusa. Da qui il nome Pollio che fu dato al Biblino originario della Tracia. Altre fonti lo vogliono, invece, portato dai Fenici. Recenti studi e serie ricerche hanno accertato che il vitigno Biblino, o anche Biblico, sarebbe identificabile non nel Moscato, ma nel Frappato vino Doc della zona di Vittoria, in provincia di Ragusa.
Assai interessante resta, in ogni caso, l’origine del nome moscato.
Furono i greci a chiamare “anathelicon moschaton” quelle uve che Plinio chiamò “uva apiana” perché preferita dalle api. Il suo nome allora potrebbe venirci dal latino “musca” perché uva che attira le mosche. Dal tardo latino “muscus” viene il termine muschio adoperato dai francesi che definirono “musqué” l’aroma specifico del loro “vin muscat”.
Attorno al XIII secolo in Sicilia, vale la pena ricordarlo, quel vino si chiamava già “muscateddu”.
Nella prima metà del Cinquecento il siciliano Barone della Boscaglia, al secolo Geronimo D’Avila nobile squattrinato e godereccio poeta, così scriveva: “A San Martinu in ordini mi trovu/ c’hora a stu tempu lu caudu m’attassa tannu haviremu muscateddu novu/ e ‘ntra stu menzu la vitedda ‘ngrassa..” cioè: “Per San Martino mi trovo a mio agio, mentre che adesso il caldo mi fiacca, allora avremo moscatello nuovo e ne frattempo la vitella ingrassa.”
Nel 1672 il viaggiatore francese Albert Jouvin de Rochefort in giro fra la Sicilia e Malta, cantò le lodi dei vini di Sicilia indicando il moscato “superiore al vino greco, al vino di Frontignan, al vino di Termini, all’Amabile di Genova, al Lacrima Christi e tanti altri vini pregiati.”
Non importò mai a nessuno saperne di più. Si vendette sempre sfuso per fare i moscati-gassosa del nord. Gli è stato riconosciuto il DOC solo a luglio del 1974. Meno male.
Gaetano Basile, palermitano DOC, è giornalista, scrittore, autore di testi teatrali, fine narratore, ma sopratutto ricercatore appassionato di tutto quello che è cultura e tradizione popolare, sopratutto nel settore enogastronomico. Ha svolto attività giornalistica e televisiva, divulgando tutto ciò che è cultura siciliana, tanto da meritarsi diversi premi. Vive e lavora a Palermo, dirige la rivista di etnoantropologia "Il Pitrè" e collabora con numerose testate nazionali ed estere.
In questo spazio Gaetano Basile ci offrirà i suoi contributi per darci la possibilità di conoscere meglio la cultura eno-gastronomica siciliana, e palermitana in particolare, parlandoci dell'origine delle pietanze che hanno reso famosa la cucina siciliana, o di quelle a volta meno conosciute, che andrebbero riscoperte, raccontandoci la loro storia e di come si sono trasformati nel tempo.
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