a
cura di
Luigi Farina
8ª
Puntata - La cucina delle province siciliane:
Palermo
indice puntate
I piatti delle
varie province siciliane, sia quelli raffinati
che quelli popolari e contadini, rispecchiano
gli usi alimentari dei diversi popoli che nei
secoli si sono avvicendati sull’Isola. In
Sicilia la cucina è arte antica e rappresenta
l’amalgama perfetto delle influenze delle
diverse culture che vi approdarono da ogni
angolo del Mediterraneo. La tavola resta il
luogo d’introspezione delle diverse civiltà. Una
chiave di lettura per ogni provincia: ne
racconta storia e civiltà, influenze, miserie e
opulenze. Prodotti della terra che vengono da
ricchi feudi o pietraie arse dal sole, da coste
benedette dal mare o dolci colline ricche di
frutti e verdure. Siete nel regno dei sapori e
non vi resta che gustarvi la Sicilia.
A titolo di cadeau
abbiamo aggiunto una ricetta tipica per ogni
capitolo. E’ un nostro piccolo omaggio a quelle
donne che le inventarono. Chissà quando.
PALERMO
Cucina d’immagine
quella palermitana, segnata da una impronta
aristocratica che si rivela nella ricchezza dei
sapori e nelle combinazione dei gusti. A
cominciare dagli antipasti che sono un vero
arcipelago saporito. Sapori d’ingresso, preludio
a raffinatezze da Monsù. La regina è la caponata
di melanzane con quell’agrodolce che ci arriva
dritto dritto dalla cucina di corte della Persia
preislamica. E poi le frittelle di carciofi,
fave e pisellini profumati di aceto per
stuzzicare l’appetito. Tuffatevi pure nel mare
delle “panelle” di ceci, “cazzilli” di patate,
gamberetti marinati, tiepide insalatine di mare,
tortini di verdurette, mille cose sottolio.
La gloria è tutta
al sapore di grano duro: la pasta, nata da
queste parti oltre mille anni fa. Si esalta con
pomodoro e basilico, con i broccoli “arriminati”,
con l’anciova che sarebbe l’acciuga salata
dissolta nell’olio d’oliva e con il pangrattato
sopra, formaggio dei poveracci. Il bucatino
coniugato alle sarde è il massimo a cui umana
mente poté arrivare. Superata, forse, dal
gattopardesco timballo di maccheroni in crosta
che da solo esprime l’aspirazione al sublime. La
carne, come commestibile, non esiste neppure
come termine nel dialetto siciliano. Si diceva
“càmmaru” che, stando al celebre antropologo
Giuseppe Pitré, viene dal verbo “cammaràrisi”,
cioè il mangiare di grasso concesso ai monaci
ammalati. Prevedendo le varie Regole il magro,
questi erano autorizzati a consumare carne “in
camera”. Agnelli e capretti, quindi la fanno da
padrone. Assieme al maiale che vede i suoi
momenti di gloria dall’8 dicembre, data
tradizionale in cui compare in tavola, fino al
Carnevale quando scompare assieme alle maschere
ed alle follie dei travisamenti. Furono i cuochi
delle grandi famiglie, i Monsù, a creare ricette
per rendere mangiabile la carne dura e fibrosa
di vecchie mucche. Inventarono la carne vaccina
“farcie de maigre”, cioè farcita di verdurette e
odori che, poi, nella interpretazione popolare
divenne quel “farsumagru”, cioè falso magro
riempito di ogni sorta di ben di Dio. Lontano
anni luce dal delicato piatto di partenza.
Succede quando non si conoscono le lingue.
E’ il pesce la
vera magia della tavola palermitana. Già una
grigliata di pesce è una passerella di sapori,
colori, odori che rivelano una sapienza antica.
Cucina marinara assai ricca che parte da
miserabili sardine marinate con il succo di
limone o di mandarino, fino a quelle diliscate,
fritte e profumate di aceto che chiamano “a
linguata”: intendendo così l’elevazione al rango
di “lenguado”, sogliola in spagnolo, di quell’economico
pesce. Oppure onorate a beccafico. Il pesce
viene rispettato e non arricchito di salse
coprenti, questo il vero segreto del pesce a
Palermo. Trigliceridi permettendo non
arrendetevi davanti alle fritture: di gamberi,
di totani, di calamari, di triglie, nasellini,
boghe e quanto altro offre quel giorno il
mercato.
Pure i vegetariani
trovano di che deliziarsi. Melanzane alla “parmiciana”,
cioè come le scalette di una persiana che
parmiciana si chiama in dialetto. Il cacio di
Parma? Non c’entra per nulla. E poi quelle
piccoline “ammuttunàte” cioè steccate di menta,
sale e pepe, aglio e caciocavallo. I peperoni
infornati, imbottiti, sott’olio, carciofi e
broccoli, cardi fritti in pastella, affogati;
oppure verdure “assassunate” cioè “assaisonnées”
come dicevano gli antichi Monsù, cioè saltate in
padella con l’aglio soffritto nell’olio d’oliva,
antichissima ricetta che viene dalle comunità
ebraiche.
Lasciatevi sedurre
dai pecorini: ricotta, primo sale, tuma,
cannestrato, fino a quel delicato caciocavallo
fatto di latte vaccino delle nere vacche “cinisare”.
Quelle nere che vagabondano ai lati
dell’autostrada per Punta Raisi.
Non perdetevi il
caciocavallo dell’argentiera cucinato a
bagnomaria con origano e due gocce d’aceto. Un
vero “trompe l’oeil”: sparge attorno odore di
coniglio in agrodolce quel povero piatto!
E poi c’è la
rosticceria che nessuno chiama più “tavola
calda”. Peccato. Quel “calda” rimandava a
coccole, vezzeggiamenti, piccoli caldi piaceri.
Dulcis in fundo:
la pasticceria palermitana. Barocca come coloro
che la concepirono nel corso dei secoli. La
cassata in primis, ma fasulla purtroppo: quella
che conosciamo è stata creata alla fine
dell’Ottocento dal pasticciere Salvatore Gulì.
Ma non diciamolo in giro.... Quella vera, antica
di millenni, c’è ancora e si chiama “cassata al
forno”.
Ci sono ancora
tanti cannoli, frutta candita, teste di turco di
Castelbuono, seni di vergini conventuali, paste
di mandorle, la zuppa inglese creata per Lady
Hanilton e mille delizie ancora che rivelano
come i palermitani non siano mai stati
intimiditi da trigliceridi e colesterolo.
Il gelato resta,
in ogni caso, la vera follia palermitana. Una
scelta vastissima tra granite, spongati,
sorbetti, pezzi duri o morbide coloratissime
creme da cono. Sogni di fresche delizie per
sopportare interminabili, afose giornate estive.
RICETTA
Carne impanata
alla palermitana
Grammi 500 fettine
di carne di vitello
Grammi 70 pangrattato
Origano, sale e pepe, olio d’oliva
Versate in una
ciotola l’olio con sale e pepe. In un piatto
largo il pangrattato con l’origano, sale e pepe.
Mettete la fettina nell’olio, poi nel
pangrattato pressando con la mano, e
sistematela, quindi, in una teglia appena unta
d’olio. Passate in forno caldo per un quarto
d’ora.
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Gaetano
Basile, palermitano DOC, è
giornalista, scrittore, autore di testi
teatrali, fine narratore, ma sopratutto
ricercatore appassionato di tutto quello
che è cultura e tradizione popolare,
sopratutto nel settore enogastronomico.
Ha svolto attività giornalistica e
televisiva, divulgando tutto ciò che è
cultura siciliana, tanto da meritarsi
diversi premi. Vive e lavora a Palermo,
dirige la rivista di etnoantropologia
"Il Pitrè" e collabora con numerose
testate nazionali ed estere.
In questo
spazio Gaetano Basile ci offrirà i suoi
contributi per darci la possibilità di
conoscere meglio la cultura
eno-gastronomica siciliana, e
palermitana in particolare, parlandoci
dell'origine delle pietanze che hanno
reso famosa la cucina siciliana, o di
quelle a volta meno conosciute, che
andrebbero riscoperte, raccontandoci la
loro storia e di come si sono
trasformati nel tempo. |
Il sito di Gaetano Basile
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