Passeggiata
per San Gregorio Armeno
"Pensiero" di Peppe Barra
|
Fin da bambino
ho sempre amato il presepe, che nella mia
famiglia veniva allestito, per tradizione,
già dai primi giorni di dicembre.
L’allestimento era quello povero, con
l’impiego di materiali disponibili in casa,
legno, cartone, carta di vecchi giornali.
Allora si usavano i colori in polvere, da
sciogliere in acqua, polveri di vario colore
per colorare le rocce, le montagne, i prati.
Servivano anche rametti secchi, muschio,
ciottoli, che noi bambini ci divertivamo a
raccogliere in giro già da molto tempo
prima.
La mia casa in
quel periodo si riempiva di odori
inconfondibili, ancora presenti nella mia
memoria. L’odore dominante era quello della
colla di pesce. Noi bambini eravamo gli
aiutanti della nonna, che in quel periodo si
trasformava in vecchio operaio di cantiere:
i suoi tanti anni, come per magia,
scomparivano per la metamorfosi in giovane
lavoratore a cottimo. Veniva allora il
momento della decisione importante: quella
di selezionare i pastori validi, scartando
quelli zoppi o decapitati, anche se si era
combattuti dal desiderio di salvare quelli
zoppi, nascondendo nel muschio le loro
menomazioni.
Finalmente,
dopo tanti giorni di lavoro, il presepe era
abbozzato; si trattava ora di addobbarlo,
rispettando personaggi, interpreti e
scenografia, e in questo campo ognuno si
sentiva autorizzato a mettere
|
mano. Ma, con
un intervento dittatoriale severissimo,
entrava in scena zia Maria che si arrogava
l’esclusiva dell’addobbo dopo aver
combattuto contro il terribile assalto di
mio padre, che anelava, per lo meno, a
sistemare le luci e la grotta del pescatore
dalla quale doveva scorrere l'acqua del
fiume. Mio padre si preparava alla battaglia
brandendo un clistere da lui attrezzato per
fungere da bacino idrico. Con quel trofeo in
mano se ne ritornava sistematicamente
sconfitto alla base.
La grotta
della Natività, e questo tutti lo sapevano
in famiglia, doveva essere opera di mia
nonna, che interveniva in maniera
perentoria, stroncando anche la dittatura di
zia Maria. A questo punto la grotta del
Bambinello diventava di tutto un po’. Ricami
a tombolo, stelline fatte col filo
argentato, testine di angioletti ritagliate
da vecchie cartoline di auguri, insomma un
collage di naif e chincaglierie, e come
giustamente nella tradizione, il sacro e il
profano si fondevano per rappresentare la
Natività.
I pastori
erano, naturalmente, di terracotta,
piuttosto grossolana; la macchiolina rossa
che indicava la loro bocca a volte si
trovava al posto del naso. Tutti i pastori
dovevano essere sistemati nei posti rituali:
la lavandaia nel fiume, il pescatore pure,
il che a volte creava delle sproporzioni tra
i due personaggi, francamente inaccettabili.
Tra i pastori
venivano sistemate le pecore, che ogni anno
aumentavano di numero perché quelle zoppe
non si aveva il coraggio di buttarle via;
esse venivano affondate nel muschio, dove
fingevano di essere distese a riposarsi.
Finalmente il presepe era terminato per il
giorno 8, giorno dell’Immacolata e
dell'onomastico di mia madre. Per quel
giorno doveva essere pronto, e pronto era!
I miei ricordi
più belli di questo giorno erano quando al
buio, spente tutte le luci della stanza, il
presepe si illuminava e io assaporavo questo
momento, e sognavo, immedesimandomi in ogni
parte del presepe.
Una sera mi trovavo da solo, incantato, e la
voce di mia madre mi riscosse dal sogno. «Peppi’...
ma che staie facenne sulo... loco ‘nnanze?».
E io risposi che volevo sapere perché
Benino, il pastorello dormiente, lo si
metteva sempre in alto e sempre nello stesso
posto. E mamma mi rispose: «Pecché
accussì è l’usanza. Add'a stà llà! e
basta!... È stato sempe accussì!»
Capii allora
che nelle usanze non ci sono spiegazioni.
Chi cerca in
esse la logica è destinato a rimanere
deluso. Bisogna solamente viverle, sognarle,
e lasciare che ti parlino con il muto
linguaggio della poesia e dell'amore.
Peppe Barra
ringraziamo
Peppe Barra che ci ha autorizzato la
pubblicazione, tratto dalle
note di scena dello spettacolo "La Cantata
dei Pastori" |