Raccontarono che
lu piedi di ficudinnia era velenoso e fu
portato in Sicilia dai Turchi per distruggere,
per sterminare i poveri cristiani…
Per intervento diretto del padreterno quei
frutti diventarono buoni da mangiare e anche
benefici…
Alla faccia dei
Turchi, il succo con un po’ di zucchero, fu
ottimo per combattere la tosse. Con i fiori
disseccatisi fa un decotto che è uno specifico
per le coliche renali; pare che sia ottimo anche
per il tumore della milza e le febbri malariche.
In pratica di questa pianta non buttiamo via
niente: scorze e pale servono a nutrire vacche e
vitelli quando non c’è più erba; le radici sono
perfette per trattenere terreni franosi, con i
fiori ci curiamo e i frutti sono una vera
delizia.
Tentammo di fare a cotoletta le pale più tenere,
ma risultarono una vera schifezza.
Solo i messicani
hanno fatto meglio di noi con la cocciniglia che
normalmente infesta queste piante: l’insetto
essiccato e macinato serve a produrre quella
sostanza colorante che è note con il nome di
carminio.
Fra i nostri
meriti c’è però l’invenzione del fico d’India
scuzzulato (tecnicamente “bastandone”) nato,
a quanto pare, da una lite fra confinanti. Per
danneggiare il vicino, un contadino recise i
fiori sulle piante pensando così di fermarne i
frutti.
Invece la fruttificazione fu solo ritardata e
con le prime piogge vennero fuori frutti più
grossi e succosi.
Su oltre 3000
ettari le coltivazione dell’Isola: pare che le
richieste superino la produzione, come asserisce
la stampa specializzata. I giornali ci informano
pure che, a causa del buco dell’ozono, la
desertificazione toccherà pure la Sicilia.
Facciamoci furbi e piantiamo fichi d’India sui
nostri terreni.
Indubbiamente
furbo fu Natale Giaggioli, fotoreporter degli
anni Cinquanta, che molti certamente
ricorderanno come “Zu Natali”…
Visto che i
giornali “continentali” gli compravano foto di
morti-ammazzati solo se c’era un bel fico
d’India sullo sfondo, lui se ne portava uno di
cartone nel cofano della macchina.
Oggi ci resta
ancora il rito di due fichi d’India agghiacciati
con cui concludiamo il piacere antico della
nostra “flânerie”.
Il passìu
con gli amici per capirci.
Tratto da: “Palermo è …..” di Gaetano
Basile, edito da Dario Flaccovio Editore di
Palermo.
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