eccesso di paranoia
religiosa, il re pensò anche di togliere alla popolazione non cattolica i figli
minori di 14 anni per farli cristiani. Alcuni ebrei preferirono ucciderli, altri
caddero schiavi, molti cercarono ospitalità nei paesi vicini, soprattutto in Italia.
A Genova furono lasciati morire sui moli. A Venezia li arrestarono
sulle navi noleggiate per fuggire, mandandoli poi a remare sui galeoni della
Serenissima. Gli unici che li accolsero furono il papa e gli Estensi,
signori di Modena e Ferrara.
Cominciò così il progressivo arrivo dal Portogallo e dalla Spagna, prima a
Ferrara e poi a Modena, quando qui fu trasferita la capitale del ducato, di
numerosi ebrei perseguitati. Si dice che alcuni di loro, giunti da Siviglia,
avendolo trovato molto simile - sebbene più piccolo - alla torre della
Giralda della città andalusa, diedero il nome di Ghirlandina al campanile
svettante accanto allo splendido Duomo romanico di Modena. Il duca Ercole I,
che li aveva aiutati per primo munendoli di salvacondotti e licenze per
aprire uffici d'usura, lasciò in eredità al pronipote Alfonso qualche
problema di soprannumero. Qualcosa di simile a ciò che succede oggi, con gli
arrivi degli extracomunitari clandestini, sulle coste e alle frontiere
dell'Europa. In una lettera del 1571, Gerolamo Montecuccoli comunica al duca
che, continuando ad arrivare ebrei da Venezia, lo stesso Iseppe Levi, forse
il capo della comunità israelitica modenese, non vuole accogliere più di 51
dei 300 che, imbarcatisi in Spagna per raggiungere Salonicco, erano stati
bloccati dal Doge.
Molti di quelli arrivati all'inizio del secolo si erano già felicemente
integrati. Per buona parte si trattava di mercanti e ricamatori. Non è da
escludere che la loro presenza, organizzatasi nei secoli successivi in
un'importante e numerosa comunità ebraica, abbia indirizzato in qualche modo
la vocazione della gente modenese all'artigianato e al piccolo commercio che
ne consegue.
Le abitudini gastronomiche degli ebrei, che hanno sempre funzionato da
forte legame tra vita e religione, rappresentando i momenti più drammatici
delle vicende del popolo d'Israele, non sono mai andate perse. Le regole che
stanno alla base di questa cucina sono racchiuse nel "Casher", una serie di
precise e severe prescrizioni cui attenersi scrupolosamente. Tra queste,
figurano il divieto di cibarsi d'animali cosiddetti impuri, quelli che non
hanno lo zoccolo e l'unghia tagliata e che non ruminano. Inoltre, è vietato
mangiare uccelli rapaci e pesci senza pinne e senza squame, molluschi,
rettili e crostacei. Insomma, è come dire: maiali, conigli, lepri, anguille,
seppie, polipi, scampi, aragoste, granchi e ostriche. Non è finita: il latte
e il formaggio non possono essere mescolati con la carne. Quest'ultima deve
essere macellata in modo che l'animale muoia immediatamente e resti
completamente dissanguato.
A Modena, il punto di riferimento della società e della cultura ebraiche è
sempre stata la zona del ghetto, le strade attigue a piazza Mazzini, dove
nel 1873 su progetto dell'architetto Ludovico Maglietta, con un costo di
130.000 lire raccolte con donazioni volontarie fra i membri della comunità,
fu costruita la sinagoga. In provincia, la comunità più fiorente è stata a
lungo quella di Finale Emilia, dove si trova ancora - seppure in disuso e in
non buone condizioni - un "Horto degli hebrei" (cimitero pubblico), la cui
costruzione risale al 1627. In questa cittadina della Bassa modenese,
considerata la "Venezia degli Estensi" per il suo crocevia d'acque, il porto
fluviale e l'importante cantiere navale del duca, le tradizioni ebraiche
sono rimaste incise più profondamente che in altre zone. A Reggio Emilia, ad
esempio, le chizze preparate da Federico Sacerdoti detto "Salamèin" nel suo
laboratorio di via dell'Aquila (piccoli pezzi di gnocco fritto con l'"anima"
di parmigiano-reggiano) sono entrate nelle abitudini alimentari dei
reggiani. A Ferrara, dove non mancava mai sulle festose tavolate imbandite
nel giardino dei Finzi-Contini, il salame d'oca è diventato una golosità per
tutti, anche se molti, forse, non sanno che sulla tavola ebraica è arrivato
come succedaneo lecito a quello di maiale.
Per ritrovare qualcuno di questi piatti bisognerebbe visitare le case delle
antiche famiglie ebraiche modenesi, oppure cercare con pazienza in quella
fetta di Bassa vicino al Po, dove la cultura israelitica, quindi anche la
gastronomia, si è più a lungo e meglio amalgamata con quella locale. Non
sarà difficile trovare presso qualche norcino, oltre al salame d'oca,
prosciutto e ciccioli preparati con la grassa carne dell'uccello dalle zampe
palmate. Col tacchino, un tempo, si preparava un ottimo polpettone
arricchito da uova e vitello di cui qualche "rezdóra" conserva ancora la
ricetta. Per "Pesach" (Pasqua) si facevano tagliatelle con farina d'azzime e
uova cotte nel brodo. Per "Kippur" (è il giorno del perdono e si festeggia
in autunno) si usava preparare un altro tipo di tagliatelle, sempre in
brodo. Per "Purin" (festa delle Sorti) si mangiavano i cedrini, dolci fatti
con una crema cotta di mandorle, zucchero e vaniglia che era spalmata su
savoiardi bagnati d'alkermes.
Oggi, e senza motivi religiosi, a Finale Emilia, in provincia di Modena, si
mangia soltanto la torta degli ebrei ("tibùia"), uno dei piatti più tipici
della cucina locale. Si tratta, come racconta Piero Gigli, delizioso poeta
ma anche esperto di storia patria della Bassa, di una sfogliata (impasto di
farina, burro, strutto e formaggio) che, un tempo, la numerosa comunità
israelitica vantava come specialità gastronomica insieme con il salame d'oca
e gli zuccherini di "Pesach". A "venderla" ai cristiani fu Mandolino Rimini,
figlio d'Aronne, che nel 1861, toccato dalla grazia di Dio, si fece
battezzare coi nomi di Giuseppe, Maria e Alfonso, assumendo il cognome
Alinovi. Gli israeliti finalesi non gli lesinarono il loro disprezzo e
Mandolino, per vendicarsi, si mise a produrre la torta, aggiungendovi lo
strutto - proibito agli ebrei, come tutto ciò che proviene dal maiale - in
spregio agli ex correligionari. Il successo fu enorme e ancora oggi, a
distanza di oltre un secolo, questa sfogliata che il formaggio filante
trasforma in una dorata focaccia farcita è venduta per le strade di Finale
Emilia, soprattutto d'inverno, in particolare il giorno dei morti.
Quando questa torta approdò nel paese che, più d'ogni altro, nelle terre
dei duchi estensi, aveva ben accolto l'ampia comunità israelita giunta dalla
penisola iberica? Forse al seguito di un pasticciere ebreo trasferitosi
nella Bassa con i numerosi correligionari che avevano seguito il duca Cesare
quando nel 1598, sotto il pressante stimolo del papa, aveva dovuto
abbandonare Ferrara e trasferire la capitale a Modena. |