Aprile

2003

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Il pettegolezzo nasce nel 400 a.C. con Socrate. E’ intellettualistico-moralistico che coinvolgerà presto la letteratura e i tre ceti sociali, oggi più che mai colpiti. La litania dei perché, delle continue domande, la curiosità di sapere, la meraviglia e la chiacchiera sono caratteristiche e della filosofia e del pettegolezzo. I primi a parlare male della filosofia non sono stati i non filosofi, ma i filosofi. Se Socrate è l’emblema del pettegolezzo filosofico, Dante è l’emblema del pettegolezzo letterario. La Divina Commedia è la più grande mistificazione della verità letteraria, ma è anche la più grande rivincita e vendetta che il più grande poeta del mondo si sia preso contro i suoi nemici.

Scrive Giorgio Manganelli nel libro “La letteratura come menzogna” (edizione Adelphi 1986): “La letteratura è immorale ed è immorale attenderla. O è inutile o è velenosa. Dissacrante, perversa, affascina e sgomenta, corrotta, impone la coerenza sadica della sintassi; irreale, priva di sentimenti, impone la coerenza sadica della sintassi; irreale, priva di sentimenti, li usa tutti. La sua coerenza nasce dall’assenza di sincerità. Nessuno se ne allontanerà intatto”.

Nell’800 Leopardi spettegola contro la natura, il prossimo e se stesso. Scrive nei suoi pensieri: “Il mondo è una bega di birbanti contro gli uomini da bene e di vili contro i generosi”.

Dostoevskij nei suoi romanzi e nel “Diario” smaschera la falsità della vita condotta dagli intellettuali di Mosca e di Pietroburgo. Una volta, all’età di 24 anni, è capitato a lui stesso di essere oggetto di pettegolezzo. In una serata mondana sviene davanti ad una bellissima donna, che gli era stata presentata da alcuni amici-nemici, che lo odiavano per il successo avuto con il racconto “Povera gente”. Gli amici, anziché prendersi cura di lui, preparano una canzoncina che lo metteva in ridicolo, passandola ad un giornale. L’indomani nei salotti di Mosca non si parlava d’altro.

Cesare Pavese raccomandava alle sue amiche ed ai suoi amici di non spettegolare sul suo suicidio. Probabilmente prima di compiere quel gesto, in una stanza d’albergo a Torino il 27 agosto 1950, gli era venuto in mente che il suo libro, “Il mestiere di vivere”, conteneva una filosofia del pettegolezzo e che filosofica fosse la scelta di togliersi la vita. Così finisce: “Non più parole, un gesto, non scrivo più il mestiere di vivere”.

I personaggi del romanzo “La Recherche …” di Proust sono pettegoli. Proust ridicolizza gli scrittori, contemporanei e del passato, perché parlavano per luoghi comuni, mentre lui si vantava di non conoscere, perfino, la sintassi e non servirsi della grammatica.

Ciononostante con molta o con poca malevolenza, il pettegolezzo ha sempre una funzione protettiva dell’io. L’io si sente protetto dal pettegolezzo. Ma nel momento in cui questa protezione dovesse venire a mancare, per motivi vari, e non fosse pronto un altro strumento di difesa dell’io, la situazione potrebbe degenerare in una forma di follia. Anche perché non c’è più amore. Ma chi ama veramente il prossimo?

Nessuno dei pettegoli, perché sono loro che vogliono essere amati. I non pettegoli sono talmente superficiali da ignorare il prossimo. Sicuramente ha amato il prossimo Gesù Cristo, morto in croce.

Ormai si parla per sparlare. Nei giornali, come si sa, fanno notizia le cose sgradevoli non le cose piacevoli. Nel ventennio fascista al contrario, per ragioni che tutti sappiamo, c’era la censura e facevano notizia le cose belle e non quelle brutte. Sempre spettegolando si elogia o si disprezza qualcuno senza conoscerlo. I motivi che possono provocare la maldicenza sono tanti: invidia, spirito di vendetta, sadomasochismo, frustrazione, sofferenza mal sopportata, complesso di inferiorità, … Ognuna di queste patologie, perché di patologie si tratta, accompagna in particolare il pettegolezzo calunnioso. Il pettegolezzo smascheratore, sia pure con qualche pizzico di malvagità, non è patologico, è fisiologico.

Dante, Leopardi, Dostoevskij, Nietzsche, Proust, Cesare Pavese e tanti altri sono pettegoli smascheratori.

Di solito chi ha “pensieri indolori” (cioè che non derivano dal dolore) e gode di ottima salute non fa pettegolezzo. Si direbbe che sono i “pensieri dolorosi”, per dirla con Marcel Proust, a fare diventare pettegoli gli smascheratori. La conversazione benevola non piace più a nessuno, è ritenuta superficiale e non fa ridere. Si crede che il pettegolezzo che si fa su di noi sia più malvagio di quello che noi facciamo agli altri.

Un letterato francese, Antonio Rivard, ha scoperto che su 20 perone 19 parlano male di noi, l’unico che ne parla bene lo dice malamente. Per il filosofo austriaco Vittigensten “delle cose di cui non si può parlare si deve tacere”. La maldicenza danneggia chi la fa, chi la riceve e chi la ascolta. La conversazione, che doveva essere la cosa più bella della vita, è degenerata in maldicenza, nell’arte di interrompersi a vicenda. Scrive Massimo Bontenpelli: “Conversare è entrare nel solco di ciò che ha detto l’altro e di qui proseguire per un tratto o perfezionare quel solco”.

Quello che il filosofo inglese Thomas Hobbes scrisse nel 1600 “l’uomo è lupo per l’altro uomo”, oggi è valido più che mai. Il pettegolezzo è odio mascherato. Con la morte della vera morale il pettegolezzo continua a fare strage di quelle poche persone buone che sono rimaste. La gente pettegola è quasi sempre creduta. I pochi ingenui che credono alle parole che ascoltano senza aspettare i fatti, anche se i fatti dicono il contrario, continueranno a credere alle parole del pettegolo. Il pettegolo calunnioso può uccidere persone innocenti, anche se poi il male ritorna al calunniatore. E’ questa forse una delle ragioni per cui Goethe consigliava di non agire contro il pettegolezzo calunniatore. Afferma Goethe: “ Molte falsità si smentiscono da sole”.

I giovani hanno gran paura di vivere. Per questo si rifugiano nelle discoteche, nella droga e nell’alcol. Gli adulti e gli anziani trovano conforto nello spettegolare. Quel che manca in generale agli uni e agli altri è l’esperienza della sofferenza e della solitudine.

Il filosofo Pascal in uno dei suoi pensieri scrisse che abbiamo disimparato a stare in casa. Era il 1600. Figuriamoci cosa avrebbe detto oggi che tutti vogliono uscire di casa. Il CENSIS recentemente ha comunicato i risultati del suo rapporto sugli italiani. Dal sondaggio, secondo il sociologo Giuseppe De Rita, curatore e responsabile dell’inchiesta, è emerso che la nostra è una società che chiacchiera tanto senza riuscire a trovare una direzione di marcia. Il Cardinale Tonini, commentando il rapporto del CENSIS, ha fatto suo un pensiero di Platone dicendo che è venuto il tempo in cui c’è bisogno di filosofi.

In arresa che l’introiezione prevalga sulla proiezione, è bene considerare il pettegolezzo come gioco, gioco della verità. Le parole perderanno il loro valore e significato, cesseranno di essere trappole. E la risata ci salverà.



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