I piatti delle
varie province siciliane, sia quelli raffinati
che quelli popolari e contadini, rispecchiano
gli usi alimentari dei diversi popoli che nei
secoli si sono avvicendati sull’Isola. In
Sicilia la cucina è arte antica e rappresenta
l’amalgama perfetto delle influenze delle
diverse culture che vi approdarono da ogni
angolo del Mediterraneo. La tavola resta il
luogo d’introspezione delle diverse civiltà. Una
chiave di lettura per ogni provincia: ne
racconta storia e civiltà, influenze, miserie e
opulenze. Prodotti della terra che vengono da
ricchi feudi o pietraie arse dal sole, da coste
benedette dal mare o dolci colline ricche di
frutti e verdure. Siete nel regno dei sapori e
non vi resta che gustarvi la Sicilia.
A titolo di cadeau
abbiamo aggiunto una ricetta tipica per ogni
capitolo. E’ un nostro piccolo omaggio a quelle
donne che le inventarono. Chissà quando.
TRAPANI
Il trapanese è
l’ultimo lembo della Sicilia occidentale, terra
di Elimi e Fenici. Ma pure luogo preferito da
Venere ericina dea dell’amore. La tradizionale
vocazione agricola e marinara di Sicilia qui
s’incontrano mirabilmente e il risultato è più
che soddisfacente. Ogni piatto ha in questi
luoghi una sua fisionomia, completamente
differente dal resto dell’isola. Terre assolate
vocate a vigneti e coste bagnate da tre lati da
un mare ricco di ogni sorta di pesce. Terre di
grandi odori, da quello dei capperi all’origano,
dalla mentuccia al rosmarino: li troverete tutti
quanti portati in giro dallo scirocco.
E’ il cuscus il
principe della tradizione culinaria trapanese.
Piatto che sa di Islam e di Corano, ma che nella
versione al pesce ha conquistato il primo posto
fra le delizie che offre la Sicilia. La paziente
“ ‘ncucciata” della semola, fatta a mano nella “mafaradda”,
cotta poi nella “cuscusiera” con i vapori
odorosi di cipolla è solo un esempio di quanto
la cucina trapanese sia curata e tenuta in alta
considerazione. Amore per le buone cose che si
ritrova nei “busiati”, specie di fusilli fatti a
mano e rallegrati da sughi di pesce, di aragosta
o di grassi ragù di maiale. E ci sono a far
concorrenza i ravioli amari con sugo, ricotta o
mentuccia di Pantelleria. E poi come rinunciare
agli “gnocculi” fatti a casa, oppure al pesto
alla trapanese con gli odori vivi dell’aglio
rosso di Nubia, pomodori e olio d’oliva, nati su
terre arse dal sole..
E poi baccalà
fritto e cicireddi per introdurre i secondi
tutti quanti ricchi di cernie, naselli, cefali,
aragoste, murene, saraghi, orate di salina,
pesce spada, calamari e seppie; ma dove il tonno
ha il suo regno. Fresco oppure seccato al sole,
salato, sottolio, assieme alla bottarga fino al
rarissimo salame di tonno.
E non difetta la
carne. Troverete involtini e braciole, salsicce
e stinchi, arrosti misti dove la presenza di
carni di agnelli e capretti è indispensabile. E
se siete fortunati vi serviranno il coniglio
lardato (raro ormai quello selvatico) oppure le
lumache alla ghiotta, alla casereccia ed anche
al forno. Con il finocchietto selvatico che in
collina vive fino a marzo si fanno pure
delicatissime polpettine, come insegnarono gli
ebrei della Giudecca alcuni secoli fa.
Vantano la
fragolina marsalese ed i meloni d’inverno: il
“Cartucciaru” di Paceco o il più raro “Purceddu”
di Alcamo. Le Egadi e Pantelleria, l’isola di
Venere sperduta nell’azzurro del Mediterraneo,
sono provincia di Trapani. Ogni piatto in queste
isole si trasforma, assume fisionomia propria, e
nessuno riesce a spiegarlo. Sono le isole dei
capperi il cui aroma è intenso, afrodisiaco e
paradisiaco. Non per niente c’entra Afrodite che
li volle ad immagine e somiglianza dei suoi
divini capezzoli. Sono fra le pietre, gli
scogli, sui muri delle case, sulle colline
assolate dove non cresce altro, rendendo
indimenticabili quei paesaggi. E quei piatti.
Vastissima la
gamma dei dolci conventuali ericini, in buona
compagnia con i “miliddi” della Valle del
Belice, i “muccunedda” di Mazara del Vallo, le
“cassateddi” fritte con la ricotta dentro che
troverete dappertutto. Unico resta il cannolo
trapanese: una specie di cannolo gigante buono
per tre persone!
RICETTA
Aragosta
arrostita alla trapanese
Una aragosta viva
da Kg. 1,500 circa
3 pomodori non troppo maturi
6 cucchiai d’olio d’oliva
1 limone
Prezzemolo, sale e pepe
Sbollentate
l’aragosta legata a una tavoletta di legno e,
quindi, tagliatela per lungo. Completate la sua
cottura sulla griglia prima dalla parte della
corazza e poi, molto velocemente, dalla parte
della polpa. Preparate una salsetta tagliuzzando
il pomodoro senza i semini, aggiungeteci il
prezzemolo tritato fine, l’olio, il sale e pepe
ed a piacimento, il succo del limone.
Versare sull’aragosta e servire.
Tratto
dalla Rubrica a cura di Luigi Farina A
tavola con l'esperto:
Gaetano Basile e la
cultura gastronomica siciliana.
dal
sito di
Gaetano Basile by
www.spaghettitaliani.com |