I vini siciliani
godono di grande prestigio. Dopo un periodo di
sofferta frustrazione d’immagine legata a cause
diverse e non solo qualitative, i
vitivinicultori siciliani hanno dato vita a una
nuova era bacchica. Un vero rinascimento.
La nostra è isola
di sole, di mare e di cieli azzurri che
trasforma il succo linfatico della vite in
colori, profumi e sapori. Capaci di produrre
miracoli apprezzati in tutto il mondo. Non
dimentichiamo che al nostro marsala vennero
riconosciute inattese virtù terapeutiche quando,
durante il proibizionismo in USA, fu importato
con l’etichetta “Hospital Size”...
Ma quella del vino
di Marsala è storia recente. Andrea Bacci, fu
medico e naturalista vissuto nel Cinquecento e
morto nei primi giorni del 1600. Professore di
botanica, medico di Papa Sisto V, scrisse
parecchie opere anche se il suo libro più famoso
è il “De naturali vinorum historia, de vinis
Italiae et de conviviis antiquorum”. In sette
tomi.
Si parla
ampiamente dei vini siciliani dell’epoca citando
i rossi dell’Etna, quelli del Palermitano,
dicendo mirabilia dei vini di Cammarata, in
provincia di Agrigento. Scrisse, addirittura,
che in quella zona crescevano “viti della
grossezza di un omo” e così feconde che
bastavano i frutti di dieci piante per riempire
una botte di mosto. Secondo Bacci, inoltre, la
bontà dei vini dell’Etna era da attribuirsi “al
natural calore che si sprigiona sotto le terre
di quei colli”...
Grandi cose disse
anche dei vini di Noto. Ed a ragione.
Il 18 agosto del
1559 morì alla bella età di 83 anni papa Paolo
IV, al secolo Gian Pietro Carafa, di nobile
famiglia avellinese, nipote del cardinale
Oliviero Carafa che ne aveva favorito la
carriera ecclesiastica. Non per nulla a soli 27
anni era già Protonotaro Apostolico e Vescovo di
Chieti. Fu in quella città che conobbe Gaetano
da Thiene un sacerdote vicentino a cui succedeva
che la Madonna gli affidasse, lanciandoglielo,
il Bambino che teneva in braccio... Anche se in
giro si sussurrava che amasse il buon vino.
Pazienza: le vie del Signore sono infinite.
Tra i due uomini
di Chiesa nacque una bella amicizia, rinnovata,
osiamo pensare senza malizia, con brindisi
sinceri. Di quelli che, proprio grazie al buon
vino, rinsaldano le amicizie, rinfrancano gli
spiriti anche quelli più eletti sol perché
riescono a portare alla luce i segreti nascosti
dell’anima. Fu da questo bel rapporto d’amicizia
che nel 1524 i due fondarono la Congregazione
dei Teatini , subito approvata da papa Clemente
VII. La sua regola voleva la restaurazione del
clero riportato all’ideale apostolico primitivo.
Nel 1583 Orsola Benincasa ne istituì l’omonima
Congregazione femminile con il titolo di Teatine
dell’Immacolata Concezione di Maria.
Carafa divenne
cardinale nel 1536. Non fu di quelli
accomodanti, tanto che non potè prendere
possesso della cattedra arcivescovile di Napoli
per l’opposizione di Carlo V. Era chiaro a tutti
che non poteva sopportare la Spagna e gli
Asburgo. Era più forte di lui. Alla morte di
Papa Paolo III si cercò un successore che fosse
gradito a tutti, ma i cardinali in conclave non
riuscivano a prendere una decisione visto che
nessuno dei candidati aveva il placet della
corona francese e pure di quella spagnola.
Fu così che gli
occhi di tutti i porporati s’appuntarono su di
lui. Era il papa perfetto: avanti negli anni,
cagionevole di salute, amante del buon bere,
intransigente e pure di retta moralità. Infatti
aveva cacciato fuori dal Vaticano, per
scandalosa condotta, pure i suoi nipoti.
Perfetto. Un dignitoso pontefice di transizione,
di quelli che durano poco in attesa di eleggerne
uno di “alto gradimento”. E fu eletto papa con
il nome di Paolo IV.
Lasciò questa
valle di lacrime alla bella età di 83 anni, ma
sol perché “non mancò mai il netino alla sua
mensa”. Parola di Sante Lancerio, Sommelier
Pontificio. Evviva.
Per chi non lo
sapesse il “netino” è antichissimo moscato di
Noto, in provincia di Siracusa. Nasce da uve
“Moscatello” dette pure “Moscato Giallo”; ha un
bel colore giallo dorato intenso, fragranze sue
proprie, sapore che va dall’amabile al dolce su
vena aromatica. Si sa pochissimo di questo
mitico vino che secondo qualche studioso ci
verrebbe dal greco Biblinos citato da Teocrito
nel 300 a.C.. Conosciuto pure come Pollio perché
portato a Siracusa da tale Pollio dalla Biblina,
regione della Tracia. Ma sarà così?
Nel 1802 il
siracusano Saverio Lanolina Nava, studioso
insigne di cose siciliane, scrisse che il Pollio
e il Biblino erano lo stesso vino. Si rifaceva
ad una nota di Ippia di Regio riferita da
Ateneo, un erudito greco vissuto attorno al III
sec. D.C.
La cosiddetta vite
Biblia si considerava introdotta in Sicilia da
tale Pollis Argivo che poi divenne tiranno di
Siracusa. Da qui il nome Pollio che fu dato al
Biblino originario della Tracia. Altre fonti lo
vogliono, invece, portato dai Fenici. Recenti
studi e serie ricerche hanno accertato che il
vitigno Biblino, o anche Biblico, sarebbe
identificabile non nel Moscato, ma nel Frappato
vino Doc della zona di Vittoria, in provincia di
Ragusa.
Assai interessante
resta, in ogni caso, l’origine del nome moscato.
Furono i greci a
chiamare “anathelicon moschaton” quelle uve che
Plinio chiamò “uva apiana” perché preferita
dalle api. Il suo nome allora potrebbe venirci
dal latino “musca” perché uva che attira le
mosche. Dal tardo latino “muscus” viene il
termine muschio adoperato dai francesi che
definirono “musqué” l’aroma specifico del loro
“vin muscat”.
Attorno al XIII
secolo in Sicilia, vale la pena ricordarlo, quel
vino si chiamava già “muscateddu”.
Nella prima metà
del Cinquecento il siciliano Barone della
Boscaglia, al secolo Geronimo D’Avila nobile
squattrinato e godereccio poeta, così scriveva:
“A San Martinu in ordini mi trovu/ c’hora a stu
tempu lu caudu m’attassa tannu haviremu
muscateddu novu/ e ‘ntra stu menzu la vitedda ‘ngrassa..”
cioè: “Per San Martino mi trovo a mio agio,
mentre che adesso il caldo mi fiacca, allora
avremo moscatello nuovo e ne frattempo la
vitella ingrassa.”
Nel 1672 il
viaggiatore francese Albert Jouvin de Rochefort
in giro fra la Sicilia e Malta, cantò le lodi
dei vini di Sicilia indicando il moscato
“superiore al vino greco, al vino di Frontignan,
al vino di Termini, all’Amabile di Genova, al
Lacrima Christi e tanti altri vini pregiati.”
Non importò mai a
nessuno saperne di più. Si vendette sempre sfuso
per fare i moscati-gassosa del nord. Gli è stato
riconosciuto il DOC solo a luglio del 1974. Meno
male.
Tratto
dalla Rubrica a cura di Luigi Farina A
tavola con l'esperto:
Gaetano Basile e la
cultura gastronomica siciliana.
dal
sito di
Gaetano Basile by
www.spaghettitaliani.com |