Il lievito per
fare gonfiare la pasta pare che l'abbia
inventato una serva per fare dispetto alla
padrona: gettò nell'impasto di acqua e farina, i
resti della birra dei
padrone, una bevanda molto diffusa
nell'antichità. Soprattutto nell'antico Egitto.
Insomma, inventò
il lievito di birra che noi, in siciliano
chiamiamo giustamente criscenti.
Dai Faraoni il
segreto finì sulle tavole di Arabi ed Ebrei:
"Betlemme" significa esattamente "casa del
pane"...
Pare che proprio
da noi, in Sicilia, lo conobbero i Romani, ma
soltanto duecento anni prima della nascita di
Cristo.
Si faceva con
grano duro vestito, il "farro" per cui scrisse
Nico Valerio che l'impero di Roma, più che col
ferro delle spade, si fece col farro nelle
scodelle.
Gli imperatori
romani usarono il pane nelle campagne
elettorali, come faranno più tardi i nostri
politici con la pasta: ve lo ricordate?
"Panem et
circenses" gridavano i romani e il pane se lo
fecero con il grano che Verre rubava in Sicilia
che era il "granaio di Roma".
Ma non solo quello
rubò quel proconsole.
Per il pane si
rovesciarono governi e si cacciarono via pure i
re: "ordine pane, disordine fame" si diceva
quando scoppiavano le "rivolte del pane".
Nel 1862, la
"tassa sul macinato" imposta dal nuovo regno
d'Italia, provocò sommosse che costrinsero i
Savoia ad annullare il decreto.
Vi voglio
ricordare che fu proprio il pane che contribuì a
dare alle nostre nonne quella "funzione sociale"
che è il matriarcato: facendo il pane in comune
con le altre donne erano informate di tutto. Per
farla breve, con il pane era nato il
curtigghiu, o se preferite il "gossip" che
mi pare più elegante.
Plinio il pane se
lo mangiava con le ostriche, Pascoli con un filo
d'olio sopra, mio nonno con i mandarini;
Veltroni lo adora con la cioccolata....
Questione di tempi
e di gusti.
I palermitani
hanno un vero culto per il pane: tutti sono
informatissimi sugli orari della sfurnata,
perché a tavola il pane deve arrivare caldo di
forno.
Le nostre passioni
per il pane sono come quelle politiche: c'è chi
stravede per la mafalda e chi per il parigino.
Scalette, rosette,
sfilatini, come partiti con un loro pubblico
fedele e devoto: non provate neppure a farli
cambiare d'opinione.
I nostalgici del
buon tempo antico ricordano ancora, con le
lacrime agli occhi, il "cimi torti" e il "makallè",
mentre coloro che si sono inurbati vi
tortureranno cantandovi le gioie della
vastedda o del vastdduni (...
questione di dimensione...) pani contadini di
forma rotonda.
Il filone
italiano, da noi si chiama ancora pistuluni
dal ricordo delle prime armi da fuoco portatili,
mentre la cucchia, ovvero la coppia, é
"risultato binario" di due
pistuluni messi assieme...
Grande importanza
ha sempre avuto nel nostro pane il ciminàuru
dal greco "kyminon àgrion", ritradotto nel quasi
italiano "cimino" che, giustamente Zingarelli
indica come parte superiore della canna".
Se proprio volete
chiamarlo in italiano dire pure "sesamo". Anche
se non si aprirà un bel niente.
Nella civiltà
contadina di una volta, il pane si faceva nel
forno di casa: il pane, non dimentichiamocelo,
fu la base della nostra alimentazione.
Spesso mangiato da
solo, anzi pani e cutieddu (pane e
coltello), come si diceva scherzando pure sulla
miseria!
Ma, come dicono i
contadini pani e vinu 'nforzanu lu schinu...
Vorrei invitarvi
ad avere più rispetto per il pane: non
buttiamolo via.
"Un tozzo di pane"
rappresentava una volta la carità e invochiamo
"il nostro pane quotidiano" come segno della
benevolenza divina.
"Guadagnarsi il
pane" si chiamava un tempo l'attività
lavorativa.
Quando ancora
c'era il lavoro.
Tratto da: “Palermo è …..” di Gaetano
Basile, edito da Dario Flaccovio Editore di
Palermo.
dal
sito di
Gaetano Basile by
www.spaghettitaliani.com
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