Durante trovò
che "esso giova alle passioni e genera
allegrezza".
Meno male.
Nel primi anni del
Trecento ebbe grande successo questa ballata
portata in giro dai giullari:
Qual'isso fu lo
malo cristiano,
che mi furò la grasta
del basilico mio selemontano?
Cresciut'era in gran podestà
ed io lo chiantal colla mia mano...
Fu lo jornu di la festa;
chi guasta l'altrui cose è villania.
Chi guasta l'altrui cose è villania
e grandissimo è il peccato.
Ed io la meschinella
ch'io m'avia una grasta seminata
tant'era bella e all'ombra mi dormia
dalla genti invidiata
fummi furata davanti alla porta.
... e tutta mi sanava
tant'avea freschi gli audori.
E la matina quando la naffiava
alla levata del sole
tutta la genti si maravigliava:
d'onde vien cotanto audore....
I bellissimi e
dolcissimi versi ci ricordano la "triste
historia" di Isabetta da Messina che Boccaccio
fa raccontare da Filomena, nella V novella della
4a giornata del Decamerone. Racconta Filomena
che la messinese Isabetta si era innamorata di
Lorenzo, un giovane garzone della bottega dei
fratelli che facevano i mercanti.
Non era proprio un
amore platonico...
La tresca venne
fuori, a galla, quando uno dei fratelli vide la
sorella recarsi di notte nella stanza del
giovane amante. Decisero, quindi, di lavare nel
sangue l'onore, come s'usava dalle nostre
parti....
Insomma, un
delitto d'onore.
Seppellirono il
cadavere in campagna dicendo in giro di averlo
mandato in Toscana per affari. L'ucciso, però,
apparve alla bella Isabetta raccontando tutto
per filo e per segno e indicando pure il luogo
esatto dov'era seppellito.
Di notte, Isabetta
andò a scavare e non potendo portarsi via
l'intero corpo, si fa accontentò della testa che
nascose in un vaso di basilico.
Innaffiato ogni
mattina con le sue lacrime, quel "basilico
selimontano" cioè salernitano, della ballata
cresceva rigoglioso e ricco "di audore"...
I fratelli però
scoprirono il segreto di quel vaso e per paura
di essere accusati del delitto, si trasferirono
a Napoli con la sorella.
Isabetta però vi
morì di dolore, alcuni giorni dopo...
E una delle nostre
belle storie romantiche, immortalata dalle
pagine del Boccaccio.
I vasai siciliani,
nel ricordo di quella storia d'amore (... e di
basilico), modellano ancora oggi le "graste"
cioè i vasi, in modo da rappresentare la testa
umana: la testa del povero Lorenzo.
Per fare il paio
c'è anche quella della innamoratissima Isabetta...
Forse non è vero
niente, come al solito, e si tratta soltanto di
una, "trasposizione plastica" dell'antico nome
del vaso che, in latino, si chiama appunto
"testa"....
Il vaso di
basilico rimase nella nostra fantasiosa
simbologia come "simbolo significante" della
donna che attende l'amante, della donna
innamorata....
Come tale, e fino
a tutto l'Ottocento, fu l'insegna di mestiere
della "Cassariote" palermitane: signore di "petites
vertus" che esercitavano il mestiere più antico
del mondo nel vicoli del "Cassaro morto", il
Corso Vittorio Emanuele.
Ce lo ricorda
Giuseppe Tomasi di Lampedusa: il Gattopardo,
stufo dei "Gesummaria" dei rapporti coniugali
con la Principessa-consorte, se ne andò nel
Cassaro a trovare Mariannina che "teneva la
grasta di basilicò" alla finestra....
Non era ancora
tempo di luci rosse.
Indispensabile
negli spaghetti al pomodoro, il basilico è stato
rivalutato in medicina: ha virtù digestive,
carminative e diuretiche.
Stimola l'appetito
e poi ha pure il potere di tenere lontano le
zanzare. Un suggerimento, quindi, per le signore
che volessero tenerlo davanti alle finestre...
Senza offesa, per
carità.
Tratto da: “Palermo è …..” di Gaetano
Basile, edito da Dario Flaccovio Editore di
Palermo.
dal
sito di
Gaetano Basile by
www.spaghettitaliani.com |