perché un grande ristorante non può
avere anche il pesce, che non fa parte della tradizione modenese. I
modenesi non amano mangiare il pesce, magari lo vanno a mangiare sul
Tirreno o sull’Adriatico, spendendo una barca di soldi, ma un
ristorante di pesce a Modena non ha mai fatto grande fortuna. Però
lui ha aggiunto piatti a base di pesce, ha allargato la cantina,
facendo una lista di vini importanti, mantenendo sempre presente che
con la cucina modenese, a base di carne di maiale, il vino più
importante, il vino più giusto era ed è, sostengo io, il lambrusco.
Così pian piano Fini è diventato un nome noto non solo a Modena, non
solo in Italia, ma anche all’estero. Tant’è che nella fine degli
anni ‘60 Giorgio Fini venne chiamato in America, da una università
americana, di cui non ricordo il nome, per tenere un corso di
gastronomia modenese alle massaie americane che imparavano così a
fare i tortellini. Per cui come una sorta di novello Cristoforo
Colombo, sbarcato con le tre caravelle, piene di tortellini, di
lambrusco, di zamponi e di tutte le nostre cose, compreso l’aceto
balsamico, di cui lui aveva già scoperto prima degli altri le grandi
potenzialità, tant’è che una delle sorelle di Giorgio, Giulietta, è
stata la prima ad impiantare un’acetaia a Modena. Oggi se Modena
deve molto all’aceto balsamico, lo deve molto al fatto che
Giulietta, la sorella di Giorgio Fini, ha capito l’importanza
dell’aceto balsamico. Dopo la prima arrivò anche la seconda stella
Michelin, notorietà a livello europeo, l’acquisizione di un albergo,
storico, che prima si chiamava Albergo Reale e poi è diventato Real
Fini, la nascita di un’azienda dove si producevano tutte le grandi
eccellenze gastronomiche modenesi, per cui paste ripiene,
tortellini, tortelloni, tagliatelle, l’aceto balsamico, lo zampone,
i cotechini, che loro vendevano come prodotti Fini, e poi erano i
prodotti che venivano messi nelle famose cassette di Natale, che lui
spediva in tutto il mondo. Ad un certo punto l’azienda si è
allargata tanto che ha ricevuto un’offerta dalla Kraft, e lui ha
capito che era il momento di vendere, nel senso che se continuava
doveva fare il grande salto di qualità, per cui serviva un capitale
che probabilmente a quei tempi Giorgio Fini non aveva, ed è stato
lungimirante, perché ha capito che era il momento migliore per
vendere, ed ha venduto l’azienda e anche il marchio Fini, per cui i
tortellini che oggi possiamo trovare nei supermercati con il nome
Fini non nascono a Modena, nascono in ben altre aziende. E lui
quando ha venduto l’azienda e il marchio Fini ha firmato anche un
contratto di non concorrenzialità per 5 o 6 anni, per cui per 5, 6
anni lui ha fatto solo il ristoratore e l’albergatore, poi purtroppo
si è ammalato. Il figlio Vittorio, e siamo alla terza generazione,
scaduto questo contratto ha creato una nuova azienda con il nome
della nonna, chiamandola “La cucina di Giuditta”, dove fa le stesse
cose che faceva suo padre, per cui oggi produce le stesse cose che
produceva il padre nell’azienda di Albareto, oggi della Kraft, dove
hanno differenziato e non si faceva più quello che si faceva prima,
nel frattempo hanno comprato la Negroni e altre aziende, per cui non
so più cosa producono, i salumi non li fanno più perché li fa la
Neuroni, forse fanno ancora le paste ripiene, questi tortellini Fini
che vediamo reclamizzati sulle panchine degli stadi di calcio della
Serie A. Tornando a Vittorio con i prodotti di Giuditta ha
continuato la tradizione del padre e del nonno. Quindi siamo in una
casa che continua la tradizione però oggi con un occhio a quella
cucina che viene chiamata innovativa. Chi mangia qua può mangiare i
tortellini in brodo buonissimi, un tortino in crosta dolce, che è un
piatto che a Modena fa solo Fini, lo zampone, il bollito sempre
fresco, però può mangiare il pesce o può mangiare anche alcuni
piatti che il giovane chef del ristorante propone insieme a quelli
legati alla tradizione, quindi un mix di attenzione al passato e di
attenzione al presente, oggi una casa come Fini non può permettersi
di essere legata esclusivamente al territorio modenese, perché a
Modena viene gente da tutto il mondo, anche perché a Modena oltre
alla gastronomia c’è anche l’automobilismo, legato alla scuderia
Ferrari e alla Maserati.
Fini e Ferrari hanno avuto anche dei contatti diretti soprattutto
nel primo albergo rilevato dalla famiglia Fini. Partendo da questo
parliamo anche un attimo dell’economia modenese.
In
effetti nel primo albergo, quello storico, prima che si spostassero
in Via Emilia, venivano ed erano ospiti tutti i grandi piloti della
Ferrari e della Macerati, che sono le due grandi case modenesi di
automobilismo. Per cui Fangio, Moss, Gonzales, Ascari erano clienti
abituali del ristorante Fini. Come fra l’altro nel ristorante Fini
sono stati clienti abituali Anna Magnani con Rossellini, e tutta una
serie di personaggi, di cui ho visto le fotografie con accanto prima
Telesforo e poi Giorgio, che da buoni padroni di casa si facevano
fotografare insieme a questi ospiti importanti. Dicevo, Modena
essendo la capitale della gastronomia e dell’automobilismo, ha un
turismo d’affari importante, non solo per l’automobilismo, ma anche
per esempio per la ceramica. Allora venendo gente da tutto il mondo
americani, tedeschi, giapponesi, spagnoli, non si può pretendere che
tutti apprezzino, amino e mangino e bevano le nostre cose, e quindi
bisogna avere attenzione alla tradizione per i modenesi e tutti
quelli che amano la nostra cucina del territorio, ma anche avere
attenzione per una cucina un po’ più internazionale. Debbo dire che
qua c’è più attenzione, giustamente secondo me, per la cucina legata
al territorio, perché è la nostra ed è quella che dobbiamo
difendere, in confronto ad una cucina internazionale, un po’
eccessivamente globalizzata, che non lascia capire dove sei quando
mangi, visto che quando mangi alcune cose potresti essere a Modena,
ma anche a Bruxelles, o a Berlino, o a Tokyo, a questo punto. Invece
io amo capire attraverso quello che mangio dove sono. Ecco queste
penso che siano le caratteristiche della gastronomia modenese, della
casa Fini e di questa economia modenese, che è un’economia
importante, perché a Modena si produce di tutto. Modena è una città
fortunata perché ha un’economia differenziata, non monoculturale,
per cui se è in crisi il tessile va bene la ceramica, se è in crisi
la ceramica va bene il tessile o va bene il bio-medicale, quindi
questo è un territorio fortunato che non è ancora in crisi, grazie a
Dio, perché il modenese è un uomo abile, ha una grande manualità che
esprime nel creare macchine da corsa, nel creare le piastrelle, ma è
anche attento a un mercato che oggi è un mercato internazionale.
Torniamo un attimo sulla gastronomia modenese, di come è nata e di
come si è evoluta nel tempo.
La
cucina modenese è una cucina strettamente legata al maiale, e lo
dimostrano i suoi piatti. Ciò è stato determinato dal fatto che
questa pianura padana, dietro la notte dei tempi, era coperta da un
grande bosco di querce, da cui cadevano le ghiande, che erano il
cibo dei maiali, per cui allevarli era facile e venivano lasciati
liberi nel bosco vicino casa ed era quasi un animale domestico per i
modenesi. Per cui noi abbiamo sempre convissuto con i maiali, e
quindi la nostra cucina è diventata, inevitabilmente, una cucina a
base di carne di maiale, per cui abbiamo i tortellini con il ripieno
a base di carne di maiale, abbiamo lo zampone, abbiamo il cotechino,
abbiamo tutta una serie di prodotti che derivano dal maiale. Lo
zampone addirittura si dice che sia nato a Mirandola, che è una
cittadina della bassa modenese, in occasione di un assedio nel 1511,
quando le truppe del Papa Giulio II diedero l’assedio a Mirandola, i
mirandolesi si videro persi e per non lasciare in mano al nemico
tutti questi maiali, li uccisero; poi l’assedio andò per le lunghe e
qualcuno pensò: “Adesso cosa ne facciamo di tutti questi maiali, di
tutta questa carne?”, visto che a quei tempi non c’erano i sistemi
di conservazione che noi abbiamo oggi, basta pensare che il sistema
di refrigerazione, il frigorifero, è nato nella seconda metà
dell’800, qualcuno pensò allora di insaccare questa carne di maiale
dentro la stessa guaina delle zampe anteriori del maiale,
speziandola, mettendo quindi del pepe e della altre spezie per
conservare questa carne, e così è nato, così dice la leggenda, così
è nato lo zampone. Quindi i modenesi mangiano carne di maiale da
sempre, tant’è che un mio amico medico dice, con una battuta, ma non
so fino a che punto sia una battuta, dice che lui riesce a stabilire
dove è nato un suo paziente, senza chiedergli l’indirizzo,
palpandogli il fegato: “Se palpo il fegato capisco che è emiliano,
se palpo un po’ più in profondità riesco a capire se è di Modena o
di Bologna, se mi lascia palpare un po’ di più gli do via,
indirizzo, numero di telefono e quant’altro!”. A parte gli scherzi è
una cucina che è rimasta tradizionale, pesante, perché evidentemente
la carne di maiale è una carne che sottopone il fegato a degli
sforzi evidenti, e non se ne può abusare, un tempo se ne abusava
perché avendo il maiale a disposizione per chi abitava questa zona,
che è stata contadina fino a prima della guerra, poi quando è nato
il boom, è diventata un’economia industriale, ma fino a prima della
guerra qua era campagna, tutti erano contadini, quindi si campava di
quello che si produceva. E’ evidente che non se ne può abusare, non
si può mangiare il maiale tutti i giorni, però noi per buona parte
dell’anno mangiamo carne di maiale e abbiamo, secondo me, il vino
adatto, abbiamo questo lambrusco che a mio avviso è un vino moderno,
frizzante, sgrassante, che aiuta e si accompagna perfettamente,
sembra quasi un abbinamento divino, per esempio sulla costa dove si
mangia il pesce, la nascono i vini bianchi, qua dove si mangia
maiale è nato il lambrusco, te lo dice un laico, non credo che sia
una divinazione, però è un abbinamento praticamente perfetto. Il
lambrusco è un vino che fino a qualche tempo fa è stato considerato
un vino di serie B, ed oggi è il vino rosso italiano più venduto nel
mondo. Si produce molto vino che viene esportato, ma se prima era
esportato in lattina o in bottiglie da due litri, oggi è vestito
bene, curato. E’ un vino frizzante che non dura nel tempo, è la sua
caratteristica, è un vino giovane, un vino che dura un anno, un anno
e mezzo, ma che è l’ideale per la nostra cucina, che ovviamente non
è fatta soltanto da carne di maiale, sarebbe sbagliato dirlo, visto
che i nostri piatti sono a base soprattutto di sfoglia, che una
volta le nostre massaie di un tempo sapevano fare. Chi si sposava e
sapeva fare la sfoglia era fortunata, perché aveva una specie di
dote a valore aggiunto, rispetto alle altre che non sapevano fare la
sfoglia. Oggi nessuna la sa più fare, o meglio sono pochissime
quelle che la sanno fare. Oggi ci sono i robot di cucina che
impastano, fanno tutto. Però noi abbiamo ancora i nostri piatti
tradizionali che sono a base di sfoglia, quindi la tagliatella, il
maltagliato, il tortellino e tutte le paste ripiene, le lasagne,
questi sono i piatti del nostro territorio. Non abbiamo dei grandi
dolci, la tradizione modenese è priva di dolci, e una
giustificazione l’ha data, secondo me molto brillante, proprio un
giornalista modenese, giornalista scrittore, Paolo Monelli, che in
un suo libro ha scritto che dopo aver mangiato modenese,
abbondantemente, partendo dall’antipasto, questi primi piatti,
questi secondi piatti, arriva alla fine che è così sazio, così
pieno, quasi illanguidito, per cui non ha più voglia di mangiare un
dolce, preferisce, forse, invece lasciar scorrere l’occhio nella
scollatura della sua bella vicina di tavolo. Questo dimostra che i
modenesi oltre alla buona cucina e alle macchine veloci amano anche
le belle donne.
Per finire parliamo un po’ dei caffè letterari di Modena, di cui il
capostipite non c’è più, ma ne esistono alcuni degni eredi, fra i
quali domani visiteremo il Caffè dell’Orologio.
A
Modena c’è, e c’è sempre stata, la tradizione di vivere all’aperto,
quando il tempo meteorologico lo consente. In primavera e in estate
i viali del parco son stati sempre pieni di questi barettini, e
anche in centro ci sono sempre stati questi caffè. Il caffè storico
a Modena, che non esiste più, è stato il caffè Nazionale, che è
stato acquistato da una multinazionale che ha acquistato in tutta
Italia dei negozi dove vende abbigliamento. Era il caffè dove si
riuniva l’intellighentia modenese. Questa tradizione è stata
continuata da altri numerosi caffè dove i modenesi amavano prendere
il caffè, il gelato, quant’altro, e stare all’aperto a
chiacchierare, o d’inverno nel loro interno. L’erede di questa
tradizione è un giovane molto vivace, Luca Bonacini, che al caffè
dell’Orologio ha pensato di continuare questa tradizione, che è
quella di far socializzare i modenesi, di riunire i modenesi che
amano stare assieme a chiacchierare, ma anche di fare cultura. In
questo caffè dell’Orologio, che è proprio nell’ombelico della città,
a due passi dal duomo e dalla Ghirlandina, vicino all’ingresso del
comune, in un palazzo storico, lui organizza mostre di ogni genere,
mostre legate alla cultura modenese e non solo. Ultimamente ha avuto
la brillante idea, essendo lui un barman, perlomeno un ex barman, di
creare attorno alla memoria, al ricordo dei film di James Bond e di
Sean Connery, questa cultura dei cocktail che spesso beveva 007 nei
suoi film e anche nei libri da cui appunto sono poi stati tratti i
film, e addirittura ha creato un premio letterario dedicato proprio
a 007 e a Sean Connery, ha chiamato alcuni scrittori italiani per
creare dei racconti dei quali è protagonista 007. Quindi lui ha
ricreato nel suo locale, il caffè dell’Orologio, quella tradizione
modenese che si era andata un poco perdendo con la chiusura del
caffè Nazionale, e che forse i tempi, la velocità che noi abbiamo
nel relazionarci con gli altri, ci aveva fatto perdere. Lui ha
quindi recuperato una bella fetta della cultura modenese che è
quella di stare assieme volentieri, di chiacchierare, di scambiarsi
idee, a volte sono idee politiche a volte anche diverse, Don Camillo
e Peppone lo dimostrano, e siamo in una terra molto vicina. Si può
essere rossi o neri, o bianchi e discutere di politica, ma poi alla
fine davanti ad un bicchiere di lambrusco o ad un piatto di
tortellini si torna ad essere amici. Quindi questa è cultura della
convivialità, della socializzazione, Luca Bonacini è riuscita a
recuperarla con un caffè dove propone delle ottime cose dal punto di
vista professionale, ma anche questa voglia di fare cultura, di
discutere, di stare assieme, che appartiene proprio al DNA dei
modenesi. Sulla sua scia altri modenesi hanno aperto caffè, o pub,
come si chiamano adesso, dimostrando che questo piacere di stare
assieme i modenesi non l’hanno mai perso e appena il tempo lo
consente vivono di notte bene stando assieme. E questa è una
caratteristica che mi piace molto perché io sono sempre appartenuto
a questa generazione di chi ha amato e ama vivere di notte, forse
anche per motivi professionali, facendo il giornalista lavoravo più
di notte che di giorno. |