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Spaghetti Italiani - Portale di Gastronomia


Introduzione alla rubrica ed indice puntate


Quarta puntata - Luglio 2005

Premiata Salumeria San Francesco - Ristorante Fini - Hotel San Francesco

Caffè dell'Orologio

di Luigi Farina

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Le Interviste: Sandro Bellei

Sandro Bellei

giornalista e scrittore modenese

Ci troviamo qui all’Hotel San Francesco, per cui cominciamo l’intervista parlando della famiglia Fini, iniziando dalla salumeria che si trova proprio qui a fianco.

La storia di questa casa è lunghissima, perché nasce dal fatto che Telesforo Fini, fondatore di questa dinastia, prima dell’inizio della prima guerra mondiale aprì una salumeria in corso Canalchiaro, nel cuore di Modena a pochi passi dal Duomo, e nel retro della salumeria la moglie, Giuditta, faceva da mangiare, ogni tanto, per i medici di un piccolo ospedale militare che era nei paraggi, in contrada San Paolo. Si sparse la voce, evidentemente questi medici mangiavano bene, soprattutto i maltagliati coi fagioli, che pare fosse la specialità di Giuditta, e pian piano la salumeria che dava da mangiare nel retrobottega a questi medici diventò un ristorante, ma non ha mai perso la veste di salumeria, che è rimasta tutt’oggi il fiore all’occhiello della famiglia Fini. Il vecchi Telesforo ha pian piano ingrandito non solo la salumeria ma anche il ristorante, comprando uno di questi palazzi che erano e sono alle spalle della salumeria, e così nasce la storia dei Fini. Telesforo Fini ha un figlio, Giorgio, laureato in medicina, specializzazione in dietetica alimentare (mai fatto il medico), che è nato nella salumeria ed è nato nella ristorazione, quindi ha continuato la tradizione del padre. La cucina dei Fini è sempre stata sempre una cucina di grande tradizione legata al territorio, però poi pian piano, soprattutto quando è arrivata la prima stella della Michelin, che è stata la prima attestazione importante, Giorgio Fini, nel frattempo diventato Cavaliere del Lavoro, ha capito che bisognava non perdere di vista la cucina della tradizione, ma si doveva anche aggiungere per esempio il pesce,

perché un grande ristorante non può avere anche il pesce, che non fa parte della tradizione modenese. I modenesi non amano mangiare il pesce, magari lo vanno a mangiare sul Tirreno o sull’Adriatico, spendendo una barca di soldi, ma un ristorante di pesce a Modena non ha mai fatto grande fortuna. Però lui ha aggiunto piatti a base di pesce, ha allargato la cantina, facendo una lista di vini importanti, mantenendo sempre presente che con la cucina modenese, a base di carne di maiale, il vino più importante, il vino più giusto era ed è, sostengo io, il lambrusco. Così pian piano Fini è diventato un nome noto non solo a Modena, non solo in Italia, ma anche all’estero. Tant’è che nella fine degli anni ‘60 Giorgio Fini venne chiamato in America, da una università americana, di cui non ricordo il nome, per tenere un corso di gastronomia modenese alle massaie americane che imparavano così a fare i tortellini. Per cui come una sorta di novello Cristoforo Colombo, sbarcato con le tre caravelle, piene di tortellini, di lambrusco, di zamponi e di tutte le nostre cose, compreso l’aceto balsamico, di cui lui aveva già scoperto prima degli altri le grandi potenzialità, tant’è che una delle sorelle di Giorgio, Giulietta, è stata la prima ad impiantare un’acetaia a Modena. Oggi se Modena deve molto all’aceto balsamico, lo deve molto al fatto che Giulietta, la sorella di Giorgio Fini, ha capito l’importanza dell’aceto balsamico. Dopo la prima arrivò anche la seconda stella Michelin, notorietà a livello europeo, l’acquisizione di un albergo, storico, che prima si chiamava Albergo Reale e poi è diventato Real Fini, la nascita di un’azienda dove si producevano tutte le grandi eccellenze gastronomiche modenesi, per cui paste ripiene, tortellini, tortelloni, tagliatelle, l’aceto balsamico, lo zampone, i cotechini, che loro vendevano come prodotti Fini, e poi erano i prodotti che venivano messi nelle famose cassette di Natale, che lui spediva in tutto il mondo. Ad un certo punto l’azienda si è allargata tanto che ha ricevuto un’offerta dalla Kraft, e lui ha capito che era il momento di vendere, nel senso che se continuava doveva fare il grande salto di qualità, per cui serviva un capitale che probabilmente a quei tempi Giorgio Fini non aveva, ed è stato lungimirante, perché ha capito che era il momento migliore per vendere, ed ha venduto l’azienda e anche il marchio Fini, per cui i tortellini che oggi possiamo trovare nei supermercati con il nome Fini non nascono a Modena, nascono in ben altre aziende. E lui quando ha venduto l’azienda e il marchio Fini ha firmato anche un contratto di non concorrenzialità per 5 o 6 anni, per cui per 5, 6 anni lui ha fatto solo il ristoratore e l’albergatore, poi purtroppo si è ammalato. Il figlio Vittorio, e siamo alla terza generazione, scaduto questo contratto ha creato una nuova azienda con il nome della nonna, chiamandola “La cucina di Giuditta”, dove fa le stesse cose che faceva suo padre, per cui oggi produce le stesse cose che produceva il padre nell’azienda di Albareto, oggi della Kraft, dove hanno differenziato e non si faceva più quello che si faceva prima, nel frattempo hanno comprato la Negroni e altre aziende, per cui non so più cosa producono, i salumi non li fanno più perché li fa la Neuroni, forse fanno ancora le paste ripiene, questi tortellini Fini che vediamo reclamizzati sulle panchine degli stadi di calcio della Serie A. Tornando a Vittorio con i prodotti di Giuditta ha continuato la tradizione del padre e del nonno. Quindi siamo in una casa che continua la tradizione però oggi con un occhio a quella cucina che viene chiamata innovativa. Chi mangia qua può mangiare i tortellini in brodo buonissimi, un tortino in crosta dolce, che è un piatto che a Modena fa solo Fini, lo zampone, il bollito sempre fresco, però può mangiare il pesce o può mangiare anche alcuni piatti che il giovane chef del ristorante propone insieme a quelli legati alla tradizione, quindi un mix di attenzione al passato e di attenzione al presente, oggi una casa come Fini non può permettersi di essere legata esclusivamente al territorio modenese, perché a Modena viene gente da tutto il mondo, anche perché a Modena oltre alla gastronomia c’è anche l’automobilismo, legato alla scuderia Ferrari e alla Maserati.

Fini e Ferrari hanno avuto anche dei contatti diretti soprattutto nel primo albergo rilevato dalla famiglia Fini. Partendo da questo parliamo anche un attimo dell’economia modenese.

In effetti nel primo albergo, quello storico, prima che si spostassero in Via Emilia, venivano ed erano ospiti tutti i grandi piloti della Ferrari e della Macerati, che sono le due grandi case modenesi di automobilismo. Per cui Fangio, Moss, Gonzales, Ascari erano clienti abituali del ristorante Fini. Come fra l’altro nel ristorante Fini sono stati clienti abituali Anna Magnani con Rossellini, e tutta una serie di personaggi, di cui ho visto le fotografie con accanto prima Telesforo e poi Giorgio, che da buoni padroni di casa si facevano fotografare insieme a questi ospiti importanti. Dicevo, Modena essendo la capitale della gastronomia e dell’automobilismo, ha un turismo d’affari importante, non solo per l’automobilismo, ma anche per esempio per la ceramica. Allora venendo gente da tutto il mondo americani, tedeschi, giapponesi, spagnoli, non si può pretendere che tutti apprezzino, amino e mangino e bevano le nostre cose, e quindi bisogna avere attenzione alla tradizione per i modenesi e tutti quelli che amano la nostra cucina del territorio, ma anche avere attenzione per una cucina un po’ più internazionale. Debbo dire che qua c’è più attenzione, giustamente secondo me, per la cucina legata al territorio, perché è la nostra ed è quella che dobbiamo difendere, in confronto ad una cucina internazionale, un po’ eccessivamente globalizzata, che non lascia capire dove sei quando mangi, visto che quando mangi alcune cose potresti essere a Modena, ma anche a Bruxelles, o a Berlino, o a Tokyo, a questo punto. Invece io amo capire attraverso quello che mangio dove sono. Ecco queste penso che siano le caratteristiche della gastronomia modenese, della casa Fini e di questa economia modenese, che è un’economia importante, perché a Modena si produce di tutto. Modena è una città fortunata perché ha un’economia differenziata, non monoculturale, per cui se è in crisi il tessile va bene la ceramica, se è in crisi la ceramica va bene il tessile o va bene il bio-medicale, quindi questo è un territorio fortunato che non è ancora in crisi, grazie a Dio, perché il modenese è un uomo abile, ha una grande manualità che esprime nel creare macchine da corsa, nel creare le piastrelle, ma è anche attento a un mercato che oggi è un mercato internazionale.

Torniamo un attimo sulla gastronomia modenese, di come è nata e di come si è evoluta nel tempo.

La cucina modenese è una cucina strettamente legata al maiale, e lo dimostrano i suoi piatti. Ciò è stato determinato dal fatto che questa pianura padana, dietro la notte dei tempi, era coperta da un grande bosco di querce, da cui cadevano le ghiande, che erano il cibo dei maiali, per cui allevarli era facile e venivano lasciati liberi nel bosco vicino casa ed era quasi un animale domestico per i modenesi. Per cui noi abbiamo sempre convissuto con i maiali, e quindi la nostra cucina è diventata, inevitabilmente, una cucina a base di carne di maiale, per cui abbiamo i tortellini con il ripieno a base di carne di maiale, abbiamo lo zampone, abbiamo il cotechino, abbiamo tutta una serie di prodotti che derivano dal maiale. Lo zampone addirittura si dice che sia nato a Mirandola, che è una cittadina della bassa modenese, in occasione di un assedio nel 1511, quando le truppe del Papa Giulio II diedero l’assedio a Mirandola, i mirandolesi si videro persi e per non lasciare in mano al nemico tutti questi maiali, li uccisero; poi l’assedio andò per le lunghe e qualcuno pensò: “Adesso cosa ne facciamo di tutti questi maiali, di tutta questa carne?”, visto che a quei tempi non c’erano i sistemi di conservazione che noi abbiamo oggi, basta pensare che il sistema di refrigerazione, il frigorifero, è nato nella seconda metà dell’800, qualcuno pensò allora di insaccare questa carne di maiale dentro la stessa guaina delle zampe anteriori del maiale, speziandola, mettendo quindi del pepe e della altre spezie per conservare questa carne, e così è nato, così dice la leggenda, così è nato lo zampone. Quindi i modenesi mangiano carne di maiale da sempre, tant’è che un mio amico medico dice, con una battuta, ma non so fino a che punto sia una battuta, dice che lui riesce a stabilire dove è nato un suo paziente, senza chiedergli l’indirizzo, palpandogli il fegato: “Se palpo il fegato capisco che è emiliano, se palpo un po’ più in profondità riesco a capire se è di Modena o di Bologna, se mi lascia palpare un po’ di più gli do via, indirizzo, numero di telefono e quant’altro!”. A parte gli scherzi è una cucina che è rimasta tradizionale, pesante, perché evidentemente la carne di maiale è una carne che sottopone il fegato a degli sforzi evidenti, e non se ne può abusare, un tempo se ne abusava perché avendo il maiale a disposizione per chi abitava questa zona, che è stata contadina fino a prima della guerra, poi quando è nato il boom, è diventata un’economia industriale, ma fino a prima della guerra qua era campagna, tutti erano contadini, quindi si campava di quello che si produceva. E’ evidente che non se ne può abusare, non si può mangiare il maiale tutti i giorni, però noi per buona parte dell’anno mangiamo carne di maiale e abbiamo, secondo me, il vino adatto, abbiamo questo lambrusco che a mio avviso è un vino moderno, frizzante, sgrassante, che aiuta e si accompagna perfettamente, sembra quasi un abbinamento divino, per esempio sulla costa dove si mangia il pesce, la nascono i vini bianchi, qua dove si mangia maiale è nato il lambrusco, te lo dice un laico, non credo che sia una divinazione, però è un abbinamento praticamente perfetto. Il lambrusco è un vino che fino a qualche tempo fa è stato considerato un vino di serie B, ed oggi è il vino rosso italiano più venduto nel mondo. Si produce molto vino che viene esportato, ma se prima era esportato in lattina o in bottiglie da due litri, oggi è vestito bene, curato. E’ un vino frizzante che non dura nel tempo, è la sua caratteristica, è un vino giovane, un vino che dura un anno, un anno e mezzo, ma che è l’ideale per la nostra cucina, che ovviamente non è fatta soltanto da carne di maiale, sarebbe sbagliato dirlo, visto che i nostri piatti sono a base soprattutto di sfoglia, che una volta le nostre massaie di un tempo sapevano fare. Chi si sposava e sapeva fare la sfoglia era fortunata, perché aveva una specie di dote a valore aggiunto, rispetto alle altre che non sapevano fare la sfoglia. Oggi nessuna la sa più fare, o meglio sono pochissime quelle che la sanno fare. Oggi ci sono i robot di cucina che impastano, fanno tutto. Però noi abbiamo ancora i nostri piatti tradizionali che sono a base di sfoglia, quindi la tagliatella, il maltagliato, il tortellino e tutte le paste ripiene, le lasagne, questi sono i piatti del nostro territorio. Non abbiamo dei grandi dolci, la tradizione modenese è priva di dolci, e una giustificazione l’ha data, secondo me molto brillante, proprio un giornalista modenese, giornalista scrittore, Paolo Monelli, che in un suo libro ha scritto che dopo aver mangiato modenese, abbondantemente, partendo dall’antipasto, questi primi piatti, questi secondi piatti, arriva alla fine che è così sazio, così pieno, quasi illanguidito, per cui non ha più voglia di mangiare un dolce, preferisce, forse, invece lasciar scorrere l’occhio nella scollatura della sua bella vicina di tavolo. Questo dimostra che i modenesi oltre alla buona cucina e alle macchine veloci amano anche le belle donne.

Per finire parliamo un po’ dei caffè letterari di Modena, di cui il capostipite non c’è più, ma ne esistono alcuni degni eredi, fra i quali domani visiteremo il Caffè dell’Orologio.

A Modena c’è, e c’è sempre stata, la tradizione di vivere all’aperto, quando il tempo meteorologico lo consente. In primavera e in estate i viali del parco son stati sempre pieni di questi barettini, e anche in centro ci sono sempre stati questi caffè. Il caffè storico a Modena, che non esiste più, è stato il caffè Nazionale, che è stato acquistato da una multinazionale che ha acquistato in tutta Italia dei negozi dove vende abbigliamento. Era il caffè dove si riuniva l’intellighentia modenese. Questa tradizione è stata continuata da altri numerosi caffè dove i modenesi amavano prendere il caffè, il gelato, quant’altro, e stare all’aperto a chiacchierare, o d’inverno nel loro interno. L’erede di questa tradizione è un giovane molto vivace, Luca Bonacini, che al caffè dell’Orologio ha pensato di continuare questa tradizione, che è quella di far socializzare i modenesi, di riunire i modenesi che amano stare assieme a chiacchierare, ma anche di fare cultura. In questo caffè dell’Orologio, che è proprio nell’ombelico della città, a due passi dal duomo e dalla Ghirlandina, vicino all’ingresso del comune, in un palazzo storico, lui organizza mostre di ogni genere, mostre legate alla cultura modenese e non solo. Ultimamente ha avuto la brillante idea, essendo lui un barman, perlomeno un ex barman, di creare attorno alla memoria, al ricordo dei film di James Bond e di Sean Connery, questa cultura dei cocktail che spesso beveva 007 nei suoi film e anche nei libri da cui appunto sono poi stati tratti i film, e addirittura ha creato un premio letterario dedicato proprio a 007 e a Sean Connery, ha chiamato alcuni scrittori italiani per creare dei racconti dei quali è protagonista 007. Quindi lui ha ricreato nel suo locale, il caffè dell’Orologio, quella tradizione modenese che si era andata un poco perdendo con la chiusura del caffè Nazionale, e che forse i tempi, la velocità che noi abbiamo nel relazionarci con gli altri, ci aveva fatto perdere. Lui ha quindi recuperato una bella fetta della cultura modenese che è quella di stare assieme volentieri, di chiacchierare, di scambiarsi idee, a volte sono idee politiche a volte anche diverse, Don Camillo e Peppone lo dimostrano, e siamo in una terra molto vicina. Si può essere rossi o neri, o bianchi e discutere di politica, ma poi alla fine davanti ad un bicchiere di lambrusco o ad un piatto di tortellini si torna ad essere amici. Quindi questa è cultura della convivialità, della socializzazione, Luca Bonacini è riuscita a recuperarla con un caffè dove propone delle ottime cose dal punto di vista professionale, ma anche questa voglia di fare cultura, di discutere, di stare assieme, che appartiene proprio al DNA dei modenesi. Sulla sua scia altri modenesi hanno aperto caffè, o pub, come si chiamano adesso, dimostrando che questo piacere di stare assieme i modenesi non l’hanno mai perso e appena il tempo lo consente vivono di notte bene stando assieme. E questa è una caratteristica che mi piace molto perché io sono sempre appartenuto a questa generazione di chi ha amato e ama vivere di notte, forse anche per motivi professionali, facendo il giornalista lavoravo più di notte che di giorno.


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