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La
recensione
di
Mario Corsini
13/11/2003 |
Nell'attesa di una nuova svolta epocale nella storia del Jazz sono passati ormai
molti anni; l'ultima, suppongo, fu quella del free jazz degli anni 60. Pubblico
e critica attendono l'arrivo del nuovo genio rivoluzionario che davvero sappia
voltare pagina. Ma di questo non c'è traccia mentre uno dopo l'altro i vecchi
leoni ci hanno abbandonato. Già la generazione dei Wayne Shorter o dei Keith
Jarrett potè crescere sotto l'ala e l'insegnamento di un Miles Davis, che a sua
volta iniziò la sua carriera accanto a un certo Charlie Parker. Tra gli artisti
attuali i Brad Meldhau, i Roy Hargrove per citarne solo due, i grandi del jazz
li conoscono ormai attraverso i dischi o gli spartiti. Mostrano di averne ben
appreso la lezione e spesso sono tecnicamente superiori a chi li ha preceduti..
Ma il loro jazz a volte risulta un po' freddo e convenzionale, talaltra privo
del fuoco dell'ispirazione e come involuto su se stesso. L'industria
discografica che li promuove, spesso li abbandona strada facendo. E' un po' la
sorte toccata a Stanley Jordan, un chitarrista che ha esordito nel 1988 nel
migliore dei modi: con un'etichetta discografica storica ed illustre "Blue
Note", una originale tecnica chitarristica chiamata "tapping", consistente nel
battere senza pizzicare la corda dello strumento sino ad ottenere un suono
felpato e pulito, senza perdere in fluidità e potenza. Ed ancora con l'idea di
sostituire ai tradizionali standards i nuovi classici del rock (Stairway to
heaven degli Zeppelin ed Eleanor Rygby dei Beatles. Insomma un esordio
trascinante e fresco.. Peraltro Jordan non poggia la sua tecnica su precisi
capisaldi dello strumento chitarra, non è Wes Montgomery, non emula Joe Pass né
tantomeno ricalca la tradizione bop alla Charlie Christian. Qualcuno già grida
al miracolo. Forse il successo immediato finisce per nuocere al chitarrista che
peraltro è assai parco nel mettere alle stampe nuovi lavori. Tuttavia la stoffa
artistica c'è.. Ne è testimonianza questo "Dreams of peace", il suo nuovo Cd
tutto italiano, prodotto e suonato coi siciliani "Novecento". Qui si ascolta il
virtuoso della chitarra che, abbandonata in parte la succitata tecnica "tapping',
omaggia le sue radici musicali. Radici che non sono quelle del jazz tradizionale
più canonico (ad esempio bop..), semmai quelle più tipicamente "black" nel senso
anni '60 '70 '80, da Stewie Wonder agli Earth Wind and Fire, al funky che
sconfina persino nella disco music ed egualmente nel soul. La proposta è di
abbinare queste matrici pop ad una ritmica più jazzata in un progetto "fusion"
assai raffinato talvolta improntato alla sinuosità melodica (vedi il brano che
da il titolo all'album..), talaltra al fuoco ritmico ed improvvisativo di
composizioni trascinanti quali "spring" che un po' mi ricorda il Billy Cobham
dei tempi migliori. Tutto questo con l'apporto assai pregevole di artisti
siciliani che ne sostengono il solismo e gli arrangiamenti, con le voci "nere"
di Greg Brown e Dora Nicolosi che espongono alcuni dei temi, e con l'importante
partecipazione di solisti quali Dave Liebman o Randy Brecker a corroborarne il
credito già cospicuo..
Insomma un CD valido sia per gli amanti del groove tipico della "Black music",
sia per coloro che sanno apprezzare l'improvvisazione jazzistica più pregnante!
Aspettando sempre quella svolta epocale, che non arriva!
Mario Corsini |