Partiamo
dalla tua esperienza da musicista: sei partito suonando la batteria con diverse
esperienze con altri artisti, per poi metterti, diciamo, in proprio. Come è
stato questo inizio?
Forse ora a
posteriore mi rendo conto che non mi interessano i ruoli, mi interessa la
musica. E questo ormai l’ho capito e capisco anche a questo punto un pò il
percorso che ho fatto. E anche il ruolo di batterista che spesso ricorre, e che
non nego assolutamente, però era come incominciare, si parte da qualche parte, e
in quel caso li io mi sono ritrovato a suonare e ad interpretare la batteria
come strumento, però sempre con un occhio e con uno spirito che era interessato
a tutto ciò che c’era intorno, non era mai solo lo strumento quindi tutta la
parte un po’ accademica dello studiarlo approfondirlo, no, era lo strumento che
mi sono ritrovato a suonare, anche un po’ per caso come succede quando vuoi fare
il primo gruppetto e manca il batterista, a me comunque piaceva come idea la
parte del batterista e quindi ho incominciato un po’ ad approfondire quello
strumento li; però fin da subito cercando di inserirlo in quello che era un
discorso musicale, che poi alla fine è venuto fuori via via. Quindi sia quando
ho suonato con Chimenti o con il mio primo gruppo, la batteria era l’ultima cosa
che io andavo a vedere, andavo a vedere l’arrangiamento, a seguire la
recitazione del cantante, quindi mi interessava quel mondo, e di quel mondo mi
interessava tutto. Chiaramente poi mi sono trovato un po’ confinato un po’
costretto, quindi c’era qualcosa dentro che mi diceva non sono contento, ancora
non ci siamo, sono insoddisfatto e soprattutto poi alla fine ho scoperto la
voce, molto tardi, e questo scoprir la voce mi ha fatto cambiare completamente
direzione, mi ha fatto prendere consapevolezza del fatto che potevo cantare, e
questo non era scontato per me, anzi fino da allora era escluso. Mentre invece
nel momento in cui mi sono sentito credibile si è aperta un’altra porta, e a
quel punto quello che era stato un po’ il senso di frustrazione o di
insoddisfazione è scomparso, quindi questo mi ha fatto dire: “meno male, meglio
tardi che mai, è arrivata la svolta”, ed ora mi sto vivendo la svolta
semplicemente, nella maniera più naturale possibile perché poi alla fine mi
sembra di farlo da sempre.
Tu metti molto di te nelle tue canzoni, nei tuoi brani musicali, quanto c’è
della tua vita vissuta in quello che produci?
Più di quello
che mostro normalmente. E’ il posto dove non riesco a non essere me stesso, ed è
il posto dove riesco ad essere me stesso, e basta, per cui c’è tutto di me qui
dentro, con un occhio che è il mio occhio, quindi non è che metto in piazza
quella che è la mia vita quotidiana, ma anche. Però lo prendo da un altro lato
chiaramente, però è assolutamente ciò che sono e ciò che vivo, ciò che vedo, ciò
che osservo, ciò che ascolto, ciò che non mi sta bene, ecc. ecc.
Visto che sei molto critico verso il mondo che ti circonda nelle tue canzoni,
quanto ti influenza la negatività e quanto invece ti influenza la positività? La
mia impressione è che sei più spinto a criticare le cose negative, quelle che
subiamo, di questo mondo.
Io alla fine
sono un ottimista, mi considero un ottimista, e proprio per questo quello che
scrivo nelle canzoni non ha niente a che vedere con l’ottimismo, quella è una
parte che mi vivo io, però viene naturale nel momento in cui invece affronto la
parte artistica, che poi non è che non coincide con quella personale, come ho
detto prima. A quel punto non sono pessimista, sono critico, hai detto bene, non
sono un pessimista, perché non credo nel pessimismo, credo nell’osservare le
cose e osservarle da un certo punto di vista, quindi secondo me ha molto più a
che fare con l’obbiettività il fatto di essere negativi, perché ci sono tante
cose… Voglio dire essere spensierati e ottimisti è uno sforzo che devi compiere
molto forte, proprio perché quello che hai davanti, se non vuoi far finta di
niente, non è semplice, ed ha a che fare con la critica, e quindi con prendere
coscienza, consapevolezza di una serie di cose che tu osservi, che senti. Questo
spero mai mettendomi in nessuna cattedra di nessun tipo, cioè io me le vivo
quelle contraddizioni e quelle sofferenze li, e quelle critiche li me le vivo
perché sono cose che io dico principalmente a me stesso, non faccio una critica
esterna, assolutamente, anzi ora con questo disco in particolare sono proprio
immerso tra la gente e sono con tutti gli altri, faccio quello che posso fare,
che mi sento di fare e che riesco a fare.
Parlaci appunto di questo tuo ultimo lavoro, neve ridens , di cui è appena
uscita la prima parte, diciamo il primo capitolo, dandoci anche qualche
anticipazione sul secondo.
Il secondo
capitolo è l’altra faccia del primo, sono veramente due facce di una stessa
medaglia, dove spesso ricorrono addirittura stesse frasi, stessi ritornelli,
però in un contesto con un approccio esattamente il contrario cioè l’altra
medaglia, quindi questo io lo considero un disco, tra virgolette, tra molte
virgolette, politico come atteggiamento perché reagisce, cioè le cose le afferma
con molta forza e reazione, quindi c’è un atto di movimento in questo senso.
L’altro è l’esatto contrario è riflessivo quindi per me, tra altre molte
virgolette, è poetico come lavoro. Sono due facce che si appartengono, anche se
sono di spalle, perché sono nella stessa medaglia e non si incontreranno mai, ma
si appartengono imprescindibilmente perché sono la stessa cosa.
Tu hai parlato di poesia, c’è molta poesia in quello che fai. Quanto è
importante la poesia, mi riferisco in questo caso al testo, e quanto è
importante la musica? Come le raffronti insieme? Come lo senti il rapporto tra
musica e poesia?
Se tu per poesia
intendi la parte letteraria, penso che, anche se io tengo tantissimo alle
parole, e mi logorano, e ci passo molto tempo, la parola per me deve diventare
musica, alla fine l’ultima cosa che deve essere è li, sono integrate, è la
musica, per me una parola “neve ridens” è musica quindi nemmeno ti dico perché
“neve ridens” nel senso letterario del termine o concettuale, no, nel senso
musicale, io sono un musicista e voglio fare musica, e quindi la parte poetica,
quella che tu dici nel testo, mi interessa che sia uguale a quella di una
chitarra e di un pianoforte. Poi, tutto ciò che è la speculazione che si può
fare sul testo, cosa vuoi dire, cosa non vuoi dire, …, lo capiamo insieme. Però
per me è fondamentale che la parola diventi musica e non viceversa.
Parliamo adesso di in un’altra forma d’arte, cioè la gastronomia, tu hai
parlato di armonia e anche nella gastronomia c’è armonia. Parlaci del tuo
rapporto con essa e che accostamento vedi fra musica e gastronomia.
Guarda è lo
stesso della poesia che diventa musica, secondo me il cibo deve e può essere
musica, assolutamente, un buon vino, una buona pietanza, stare a tavola, ha
molto a che fare con quello che normalmente si vive nel mondo della creatività,
io trovo che sia una delle forme d’arte più creative e che continuerà a
rinnovarsi rispetto alle altre che invece soffrono. Soffre la poesia, soffre la
letteratura, soffre il cinema, soffre la danza, sono tutti come se avessero un
apice che sta un po’ per concludersi. Il cibo no! Forse perché è la prima cosa,
la prima necessità. Se abbiamo sete dobbiamo bere, se abbiamo fame dobbiamo
mangiare, e viene prima del cantare o del suonare o del dipingere, e quindi in
questo caso il cibo serve per sostenere gli altri sforzi, lo sforzo creativo, lo
sforzo dell’arte e della vita
Che rapporto hai tu personalmente col cibo?
A me piace un
sacco mangiare, anche se non si vede tantissimo. Mi piace molto bere. Non
sopporto mangiare da solo, e se, per esempio, sono da solo è difficile che mi
cucino, perché è una cosa che credo che è automatica come l’amore, diventa
condivisione, quindi mi piace un sacco passare del tempo a tavola, più che stare
in un locale a bere, preferisco fare una cena e passare del tempo, molto tempo,
a tavola.
Con i fornelli invece come te la cavi?
Mi diletto, ogni
tanto, ci metto molto amore, quindi almeno quanto mi dicono, se faccio un piatto
di pasta, per quanto semplice chiaramente sarà, che riesce bene, è perché ci
metto tanta passione.
Tu sei nato a Napoli, anche se ti sei trasferito giovanissimo a Firenze. Cosa
ti è rimasto della tradizione della tua terra natia, nel senso di cucina, e c’è
qualcosa che ti manca? Dall’altro lato come ti sei trapiantato nella cultura
gastronomica toscana.
Alla fine sono
finito in toscana, quindi sono finito dalla padella nella brace, per usare un
termine cuciniero. L’unica cosa che ricordo da piccolo, a sette anni, quando
sono andato da Napoli in Toscana, la prima cosa che è stato un po’ un trauma è
stato il pane “sciocco” che c’è in Toscana, rispetto a quello “bello” che c’è a
Napoli. Ormai ci ho fatto l’abitudine. Per il resto l’ho mantenuta, perché
comunque fino a che sono stato con i miei, mia madre è svedese ma cucina
assolutamente in maniera italiana, quindi non mi sono mancate le cene in stile
napoletano. Poi sono curioso, mi piace veramente di tutto, dal pesce crudo, a
tutto …, anche se affermo con sicurezza che la cucina italiana è imbattibile.
E visto che tu hai girato per tutta l’ Italia qual è quella che ti ha
stuzzicato o affascinato di più?
Forse quella che
non mi annoia mai è quella del centro Italia, perchè se da una parte vai al Nord
diventa pesante, anche se con piatti buonissimi, al Sud uguale, al centro è
pesante uguale, però forse perché ci vivo e la conosco più a fondo, la cucina
toscana mi piace di più.
Per chiudere, ritornando alla musica, hai spesso collaborato con altri
artisti come ultimamente con la Millenium Bugs’ Orchestra o con Manuel Agnelli,
hai qualcos’altro in programma per il prossimo futuro?
In realtà vorrei
essere molto concentrato. E’ partito il tour di questo ultimo lavoro e me la
voglio vivere faticandomela il più possibile, però nemmeno divagando come ho
fatto nel passato fino ad oggi. Esiste già da novembre una cosa per me
parallela, che io integro benissimo, con la parte poetica, appunto con Bertoli
della City Lights. Faremo un giro, che ho gia fatto l’anno scorso, tra Belgio e
Francia, ma questa è un’altra cosa, un’altro modo di performans dove la parola
assume un altro tipo di valore, la performans anche, che non è il concetto
quindi le canzoni… Questa è l’unica cosa che mi ritaglio in questo momento di
diverso, perché per adesso vorrei insistere sullo stesso tasto.
Ringrazio Marco Parente per la disponibilità e gentilezza con cui ha accettato di
rispondere alle mie domande e lo saluto con un grosso in
bocca al lupo per il futuro. |