Cominciamo
parlando del connubio musica poesia, che a me pare ancora molto più accentuato
nel tuo ultimo lavoro: "Lo Scatto Tattile", in confronto al precedente
"Concerie".
I miei temi sono
sempre gli stessi, vengo dal sud ed ho una particolare sensibilità per
l'emarginazione, ed ho una predisposizione naturale a saperne parlare.
Io sono nato in un carcere, ne sud Italia, nel cilento, vicino Salerno. Mio
padre faceva, quello che allora si chiamava "carceriere". Noi abitavamo al piano
di sopra e sotto c'erano le carceri. Mi sono formato così, io giravo con il
triciclo e i carcerati mi insegnavano... Non erano assassini, erano ladri di
galline, con piccole pene, quelli più pesanti li portavano a Salerno. E forse da
qui nasce la mia predisposizione a parlare di emarginazione.
Tornando alla tua domanda, "Concerie" racconta sedici storie vere, per parlare
di particolari personaggi che mi colpiscono, che sono i temi di queste storie e
che sono dei perdenti. Per varie ragioni sono perdenti. Apparentemente
sconfitti, ma secondo me non sconfitti, anzi paradossalmente vincenti, per vari
motivi. Quindi era un album che metteva un po' il dito nel dramma del vedersi
vivere quotidiano, dell'essersi vissuti dalla realtà. Questo album non era privo
di poesia, assolutamente, anche perchè io pongo una particolare attenzione a
curare i testi, cercando la sintesi. Non è facile, è difficile raccontare una
storia in tre strofe, saperlo fare è difficilissimo. Ci riusciva in Italia
soltanto uno, che era De Andrè, che era grandissimo, al di sopra di tutti. Poi
diciamo la verità era il primo, il più grande. In una canzone riuscire ad avere
il dono della sintesi è una cosa importante, ed è una finalità che io mi pongo.
Questo ultimo album, "Lo Scatto tattile", praticamente analizza poeticamente le
ragioni di "Concerie", di quei personaggi, e tutto ciò l'ho potuto realizzare
attraverso un'introspezione dentro di me, su me stesso, entrando nella mia
interiorità e scavando dentro. Quindi è un album che scende nello psicanalitico.
E' una parola che dicono di non usare, non so perchè. Anche i musicisti che
suonano con me mi dicono: "Non dire sta parola...". E io mi chiedo perchè, che
c'è di strano? Ce l'abbiamo tutti, l'auto analisi la facciamo quotidianamente.
Devo dire che all'inizio ho avuto un po' di resistenza a fare, qui si scivola,
si corre e si cammina, stare a toccare certe cose di me stesso mi è risultato
all'inizio un po' pesante, non c'ero più abituato. Non sono mai andato dallo
psicanalista, per esempio, non ho mai fatto analisi, pur avendo un sacco di
problemi, che mi gestisco da me. Quindi è stato un po' forte, anche se è stato
sempre più stimolante. C'è un brano che si chiama "Shaker", per esempio, che ho
chiamato così, perchè stavo qui, in questa Roma assolata di Luglio con 40°
all'ombra, e già la ragione per colpa di questa cosa se ne va, e io stavo li a
chiedermi che tipo di canzone dovevo scrivere, mi mancavano un paio di brani, ad
un certo punto ho parlato di come si entra nello shakeraggio, come si ci shekera
il cervello nel momento in cui uno abbandona, si allontana da questa pseudo
realtà che ci circonda e la va a cercare nella poesia. Quindi più penetri nella
realtà, quella vera, che non ha niente a che vedere con il mondo scontato, con
tutto quello che diamo per scontato oggi, e più ti shekera il cervello,
paradossalmente più ti avvicini al reale, alla vera realtà, alle cose vere,
quelle di cui parlava Pasolini, che ha parlato molto di queste cose ed è stato
un precursore, già negli anni '70 diceva cose attualissime oggi, come per
esempio quando diceva: "Vedi questo umile viottolo di campagna, bisognerebbe
difenderlo con la stessa forza con cui si difende un'opera d'arte...": Oggi di
tutto ciò non importa più a nessuno. Quindi la realtà sta li in quel viottolo di
campagna. Allora cercare questa realtà dentro di noi, questo viottolo di
campagna dentro di noi, è un'operazione difficilissima.
Poesia in questo album ce ne è tanta, ho pure rivisitato due poesie di Pessoa,
musicandole.
In uno di questi due brani, "La Poesie", Pessoa dice "So che non sarà mai
scritta, so che non so cosa sia..", quasi a rafforzare questa difficoltà, di cui
tu parli, a scavare cosa si sente dentro.
Questo è un
brano che amo moltissimo. Ognuno di noi, chiunque abbia una predisposizione
verso una forma artistica, chiunque abbia una sensibilità particolare, non
necessariamente un pittore o un creativo, penso che la gente comune, basta che
non siano nazisti, ottusi o gente stupida, una persona sensibile e normale ce
l'ha una lucetta dentro, dei bagliori, dei flash, di un qualcosa che vorrebbe
esprimere a parole e non ci riesce. Io sono convinto che c'è questo aspetto
dentro di noi, io ce l'ho in modo forte, ho delle luci dentro di me, che vorrei
poterne parlare, però non ce la fai, sono talmente enormi. E' un po' un fatto
misterioso, il mistero dell'esistenza. Sono talmente enormi, più grosse di noi,
che non ce la fai. Pessoa diceva questo: "Vorrei dirla, ma non riuscirò mai a
dirla."
Continuando a parlare del tuo ultimo album, parlami un po' delle "zanzare"
che ogni tanto accompagnano delle voci che recitano o parlano a ruota libera e
introducono l'argomento del brano successivo.
Anche durante i
concerti live usiamo questi intermezzi dove ci parlo io sopra, non c'è la
zanzara, c'è un tema classico che la contrabbassita Tina Muto, che mi segue con
tanta passione. Finita una canzone, comincia lei il tema classico, e il pubblico
capisce che sto per leggere qualcosa, o dire qualcosa, visto che durante i
concerti leggo spesso dei passi con parole forti, Celine, Pasolini, o Piero
Ciampi, che forse è l'unico cantautore a cui mi sento veramente vicino.
La zanzara vuole essere un disturbo. Non so se ti ricordi Christo, quell'artista
che venne a Roma negli anni '70, che impacchettò tutte le Mura Aureliane. Noi
viviamo in questa città, ma la conosce meglio un americano. Non ci rendiamo
conto della bellezza che abbiamo intorno. Alle Mura Aureliane ci passiamo vicino
come se fosse un palazzo qualsiasi. Allora questa zanzara ha la funzione di
disturbo per attirare l'attenzione su qualcosa. Ho intervistato due ragazzi, uno
è un "borgataro", come lo chiamiamo noi, un ragazzo di periferia. Fra questi
ragazzi, e Pasolini già lo sapeva, ci sono dei geniacci. Questo ragazzo per
un'ora e mezzo ha detto delle cose in romanaccio, io gli ho dovuto cambiare,
camuffare un po' la voce, in romanaccio lento non funzionava, era troppo, allora
l'ho dovuto alterare, però geniale, in un'ora e mezzo non ha detto una banalità,
non ha detto un luogo comune, ha detto tutte cose grandi. Il secondo è un attore
italiano che sta venendo fuori, che si chiama Daniele Timpano, anche lui a modo
suo particolarissimo. Poi ho fatto parlare una donna libanese ad introduzione di
un brano contro la guerra, sempre con questa zanzara che partiva sopra. A me di
scrivere solo canzoni non me ne frega niente, mi piace il teatro, mi piace
l'aspetto teatrale. Siccome un album dovrebbe essere un po' come un libro, non
deve essere come ragionano i discografici: "Mettiamoci il pezzo di punta,...",
che già lui è una cazzata, e poi una infinità di banalità, pezzi inutili,
inascoltabili. Per me è un po' come un libro, è una cosa nobile, per cui cerco
di dare al pubblico o all'ascoltatore una novità. Nel precedente c'era Flavio
Bucci, c'erano altri attori, c'era mio fratello Massimo Venturiello, che è un
attore abbastanza stimato.
Dopo aver parlato delle parole del tuo lavoro, parliamo della musica, a cui,
si legge a chiare lettere ascoltando il disco, dai molta importanza sia nella
composizione, che negli arrangiamenti che nell'esecuzione, con contaminazioni
che vanno dal rock, al jazz, alla classica.
Si a me piace
molto spaziare, sono un appassionato. Il jazz non è una cosa che si può imparare
soltanto facendo un corso o andando a scuola, il jazz ce l'hai o no. E' un modo
di essere. Pur non essendo un pianista jazz, non essendo un esperto di jazz, ce
l'ho di istinto molto forte, per cui mi butto, mi lascio andare. Però mi piace
integrare al jazz e al pop, in fondo io sono uno formato musicalmente negli anni
'70, il Rock, il Rhythm and Blues, io ero un cantante Rhythm and Blues, sono
nato come cantante chitarrista, ho fatto parte di gruppi importanti a Roma, poi
smisi. Quindi vengo da quella scuola li e me la porto appresso, quindi l'anima
rockettara non può non esserci nella mia musica, ma anche nel precedente c'erano
due brani come "Soldatino" e "Terrone" di grande tiro. Come dicevi tu ci sono
anche contaminazioni di musica classica, visto che ho studiato pianoforte per
cinque anni, quindi il classico ce l'ho un po' dentro. Quindi mi piace eseguire
queste contaminazioni, ed ho un istinto forte, questo me lo riconosco, per la
colonna sonora. Ci sono molti temi musicali bellissimi in questo album e a me
piacerà continuare su questa strada, sui temi musicale che vengono fuori, ed ho
un progetto questo anno di rivisitare il meglio di "Concerie" e "Lo Scatto
Tattile" in un live da fare in trio, con magari sovraincidere qualcosa come un
quartetto d'archi, più due tre brani nuovi. Deve essere un "live", con il
pubblico. In una sala di registrazione io sono sempre molto contenuto, limitato,
stai li che ti devi misurare con la strumentazione della sala, con il fonico
dall'altra parte, ci sono un sacco di limiti nel rendere veramente quello che
sei, "live" sono un po' di più, sinceramente, mi calo di più nelle cose, anche
perchè hai macinato di più i pezzi, li hai fatti più tuoi, per cui nel "live" do
moltissimo. Per me la musica è una cosa molto importante nell'album, non è una
cosa che scrivo perchè sia funzionale alla vendibilità, perchè questo lavoro non
è un mestiere. Quindi, innanzi tutto la musica deve essere importane, l'armonia
che vado a cercare non deve essere consueta, se una progressione armonica è
troppo consueta, per me è inaccettabile, ad un certo punto la vado ad
interrompere, se deve passare per forza da un accordo all'altro, perchè così è
la morte sua, io li la vado ad interrompere e mi invento qualcos'altro. Questo
rende il mio lavoro assolutamente meno commerciale, si confronta di meno col
mercato, però se noi pensiamo al mercato facciamo il gioco dei discografici e
non portiamo niente di nuovo, a me piace fare questo lavoro cercando di innovare
la canzone d'autore, con i miei mezzi creativi che sono tanti, e con il mio
bagaglio tecnico che sta crescendo, perchè davvero non se ne può più di sentire
questo stereotipo della canzone d'autore, che forse piace agli organizzatori, il
cantautorato un po' melenso, chitarristico. De Andrè, anche lui suonava la
chitarra e di musica ne capiva poco, ma era un innovatore, profondamente un
innovatore. Quando un artista è tale davvero ed ha dentro un'urgenza, non sta ad
appoggiarsi sulla consuetudine, inevitabilmente va a cercare qualcosa.
Abbiamo parlato della poesia e della musica, parliamo adesso della tua voce,
che spesso pare urlare con rabbia la tua denuncia, più che cantare, chiudendo, a
me pare magistralmente, il cerchio intorno al messaggio che vuoi lanciare.
Io ho un vocione
pazzesco, la fonica americana che ha mixato l’album ha dovuto comprimere
parecchio, mi sono formato negli anni degli Area, …, di quei gruppi dove si
cantava, ed ho delle doti vocali abbastanza notevoli, che non ho mai usato tanto
fino ad oggi, ma che ho intenzione di tirare sempre più fuori, difatti in questo
album, in confronto al precedente, già canto un po’ di più, già c’è più melodia,
c’è una ricerca melodica, … In effetti non ho mai scritto per la mia voce,
perchè significherebbe evidenziare al meglio le sue possibilità, ancora adesso
parto dall’intenzione di scrivere per la mia voce, per metterla in evidenza,
visto che è una carta che mi posso giocare. Per ogni voce c’è bisogno di
qualcuno che scriva per quella voce, nessun grande cantante potrebbe cantare
altre cose, sarebbe una schifezza. Io non ho mai scritto per la mia voce, perché
mentre sto per scrivere per la mia voce, sento talmente il bisogno di essere
vero, che ad un certo punto mi allontano da quella roba li. La mia voce so che
deve camminare secondo una certa progressione, da 1 a 10, ad un certo punto però
facendo quella roba li mi sembra di perdere di verità, allora me ne frego, e
vado sulla verità, che è la cosa che mi interessa di più. Tuttavia l’obbiettivo
sarebbe quello di unire queste cose e fare qualcosa per la mia voce. Si è vero,
ci sono momenti che sussurro, altri che vado su e sparo cose, anche su tonalità
improbabili, ma non me ne frega niente.
In tutto ciò cerchi di dire sempre qualcosa, toccando argomenti sociali
importanti come l’emarginazione giovanile, parlando anche del fenomeno degli
ultras, argomento, far l’altro, attualissimo oggi, dopo i fatti di Catania.
Ho intervistato
questo ragazzo, che ne conosce tante di cose, questo ragazzo di periferia che
introduce questo pezzo. Il titolo, “Un treno di conseguenza”, l’ho preso dalle
sue parole. Dimmi che vuol dire “un treno di conseguenza”? In italiano non
significa niente. Detto da lui aveva quel significato li, lui è passato dagli
indiani d’America all’esercito romano, facendo questi salti incredibili, … Gli
indiani d’america non avevano bisogno dello sceriffo, diceva lui, non avevano
bisogno di un corpo di controllo, ed è molto vero, perché tutto era di tutti,
quindi dall’esercito romano in poi, all’epoca del potere romano, è stato tutto
“un treno di conseguenza”, dal momento in cui è entrato in gioco il potere è
stato “un treno di conseguenza”, vengono fuori tutte le magagne che ci sono nel
mondo attuale, la violenza, le ragioni della violenza, da qui tutto quello che
succede, dai sassi dal cavalcavia, i ragazzi che fanno le cose peggiori, che,
per carità di Dio non difendo, la mia è una accusa, difatti nel brano si capisce
che io li accuso, tuttavia alla società segnalo l’importanza e la grossa
responsabilità che ha, dicendo: “La gente che non vuole aver niente a fare con
te è la stessa che se ne sbatte anche di chi è nel giusto.” E’ questa la frase,
provocatoria, forte, che sintetizza il brano.
Parlaci adesso di “Lucciole”, che è uno dei brani autobiografici di questo
tuo lavoro, che a me è piaciuto molto.
Lucciole, parla
della mia esperienza da bambino, come ti ho detto prima, davanti la porta del
carcere a cercare lucciole. Penso che la mia infanzia passato li, davanti la
porta di quel carcere, un po’ particolare ed abbastanza unica, sia proprio la
chiave della mia originalità.
Tornando ad oggi, sei appena rientrato da una data in Friuli. Quando ti
sposti hai dei compagni di viaggio provenienti da parti diverse, fra l’altro il
chitarrista è svedese, come vi trovate gestire il rapporto con il cibo, durante
i vostri viaggi?
Fra di noi
quello che ha maggior predisposizione verso il cibo è proprio Lutte Berg, il
chitarrista svedese. Per lui è una priorità, viene prima della musica e dello
sport, anche se i suoi interessi principali sono proprio la musica e lo sport,
ma il cibo viene prima. Io sono uno che spizzica moltissimo durante il giorno,
spizzico poche cose, essendo un po’ nevrotico, nevrotico fra virgolette, mi
sento una persona serena e tranquilla, però penso di avere una personalità
diciamo elettrica, spizzico, fumo, spizzico, fumo,…. Lutte invece, innanzi tutto
si fa la sigaretta col tabacco e se ne fa una ogni tanto, con questa sua
apparente calma, mentre sul palco, e questa è un po’ la schizofrenia di certi
personaggi, sul palco ha la stessa mia grinta, diventa di un grintoso
incredibile, insieme siamo una forza, però lui scende dal palco e diventa
un’altra persona. Il cibo per lui è fondamentale, conosce tutte le cose svedesi
e non solo. Quando viaggiamo ci fermiamo sempre a Pian del Voglio, è una tappa
fissa ogni volta facciamo il tratto appenninico ci organizziamo per fermarci li,
anche una sosta di tre quarti d’ora. In questo posto, dove di solito si fermano
tutti gli artisti, non dico il nome per non fargli pubblicità, soprattutto ti
fanno delle grattate infinite di tartufo su tutto. Ieri per esempio abbiamo
mangiato tortellini col tartufo, una prelibatezza. Io con il cibo non ho un
rapporto paranoico, molto stretto, avrai capito la mia personalità, spesso
mangio, mi chiedono cosa ho mangiato e neanche me lo ricordo, perché sto sempre
a pensare. La mia testa vola sempre, sto sempre per aria. Tuttavia devo dire che
per me il mangiare è importante, e questo penso sia legato anche alla mia
infanzia, quando il mangiare era importantissimo, visto che si veniva dal dopo
guerra, quando il cibo era importante, mio padre mi insegnava a non lasciare un
pezzo di pane, a mangiare ogni cosa. Oggi mia figlia lascia di tutto, …
Fondamentalmente, parlando di cibo, sono legato a tre cose, alla pasta fatta in
casa, i ravioli sono quelli che preferisco, è il mio primo piatto, e poi i
fusilli fatti in casa arrotolati con il “ferrino”, come li faceva mia madre, e
l’osso buco, ma non in bianco, ma fatto al sugo con la pasta. Questi sono le
cose fondamentali che adoro. Tutto ciò che è fatto in casa, che risente di
quella aria montanara della mia infanzia, di questo paese che stava sotto alla
montagna e a 15 km da Paestum.
E con il vino che rapporto hai?
Con il vino ho
un buon rapporto, nel senso che ne bevo molto, se ho il vino lo bevo. Deve
essere assolutamente rosso, secco e fermo.
E con i fornelli che rapporto hai. Ti piace cucinare qualcosa ogni tanto, o
preferisci gustare quello che preparano gli altri?
Mi piace fare la
pastasciutta. Non avendo un gran rapporto con i fornelli ed amando la donna
tradizionale, come la mia compagna, classica, romantica, quasi come uscita da un
quadro del Botticelli, che ama la cucina. Lei mi impedisce di cucinare, a me
piacerebbe farlo la domenica per esempio, come faceva mio padre: mia madre
rimaneva a letto e mio padre preparava, dal letto si sentiva l’odore della
cucina, mio padre entrava tranquillamente in cucina, lei invece me lo impedisce,
perché per lei è così importante cucinare, è una delle cose belle della vita. Io
so fare molto bene la pastasciutta alla napoletana, con il sugo forte quello
scuro, e come me non la fa nessuno, almeno fra gli amici che conosco, aglio e
olio la faccio benissimo, ho avuto dei complimenti e gli applausi, insomma tutto
ciò che è legato alle mie radici terrone. Nei secondi non sono un granchè,
tranne che la frittata con le cipolla, che sono un mago, la salto e faccio le
acrobazie.
Quando giri per i concerti ti piace contenerti, o vai a cerarti il
ristorantino tipico, per assaggiare le specialità del posto?
Nella prima fase
dei concerti c’è sempre molta tensione, visto che io sono quello che fa tutto. I
miei amici musicisti, molto bravi, colorano, fanno, tutto bene, però alla fine
quello che deve dare le emozioni grosse, chi ha la responsabilità di memorizzare
tutti i testi, di mettere a punto venti brani, sono io. Per cui nella prima fase
dei concerti c’è un po’ di tensione e non mi avvicino prima al cibo, preferisco
che sia dopo il concerto, e soprattutto non bevo. Superati i primi dieci
concerti cominciamo a scialare, diciamo, si mangia anche prima di salire sul
palco. Di solito abbiamo questa pausa fissa a Pian del Voglio, di cui ti ho
parlato prima, poi mangiamo nel posto dove suoniamo oppure ci portano in albergo
e si cena li dopo il concerto. Ieri a Buttrio abbiamo mangiato un risotto con
funghi, buonissimo, e un filetto, che non mi è piaciuto il fatto che il filetto
al sangue, cotto in modo giusto, lo hanno riempito di una salsa al pepe verde
che non ho gradito molto, il filetto era ottimo, ma ho dovuto scrollargli di
dosso tutto il pepe verde per poterlo mangiare. Per finire devo dire che i miei
genitori mi hanno insegnato a mangiare di tutto, non c’è niente che non mangio.
Vedo che ci sono delle persone schizzinose, che non mangiano questo o quello, a
me mi metti davanti qualsiasi cosa e io la mangio, io mangio tutto.
Torniamo alla
tua musica: Pessoa dice che la poesia che si ha
dentro non è ancora stata scritta, cosa hai dentro di te che ti piacerebbe
buttare fuori con i tuoi prossimi lavori?
Lo si capisce
dal primo brano del disco, non a caso ho messo “il Camminatore”, come primo,
anche se so di spiazzare maggiormente la gente che ascolterà l’album, perchè,
partendo da “Concerie”, che è stato un album che ha avuto un ottimo successo di
critica e di pubblico, soprattutto nei concerti, vincendo anche dei premi
nazionali, il disco dopo o somiglia al precedente, o te lo bocciano, anche se
devo dire che sono smentito dai fatti, visto il successo che sta avendo anche questo
disco. Ho voluto mettere questo brano come primo, perchè io sono uno che deve
camminare, non può stare li a fare il mestiere. E quello che ho dentro io, molto
forte, è questo bisogno del viaggio, che è quello che mi da la maggiore
soddisfazione, più del cibo o di tutto il resto, potrei pure mangiare le more ed
andare avanti a vita, è quello di potere camminare verso questa forma totale di
libertà. Io subisco molto pesantemente le imposizioni quotidiane della vita
quotidiana, date da tutto, dall'essere marito, dall'essere padre, ..., io vorrei
partire, adesso, e andarmene in giro liberamente, camminando e pensando,
fermandomi e godendo delle emozioni di tutto ciò che mi circonda, di tutto ciò
che vedo nel viaggio. Quello che ho dentro è una grande luce che vorrei vedere o
percepire nei viaggi, questa grande emozione, questa grande apertura, questa
speranza, questa eternità. Vivere con il concetto del limite, del finito, non è
piacevole, è un po' il problema di tutti, per questo dico che, bene o male,
certe luci ce le abbiamo tutti dentro. Ho il viaggio dentro, il viaggio verso la
speranza, verso la felicità, la libertà. Politicamente non sono collegato con
nessun partito, però è ovvio che io sono un anarchico, ero marxista, '68, ho
vissuto queste esperienze, in modo molto forte, però fondamentalmente ho uno
spirito anarchico, detto non in termini generici, ma culturalmente. Tutto ciò
che alla fine conduce al potere, ad una forma di potere, per me è inaccettabile,
perchè è un limite, è un'imposizione, è un freno, così come la morte è un freno,
al limite, quindi il viaggio è la speranza, questa luce bianca che cerco io, e
questo cielo sconfinato che vado cercando. Io cammino moltissimo, per esempio,
ogni sera. Molti di questi brani li ho scritti camminando su via Nicola di
Rienzo, girando per il Vaticano, via del Corso e poi da piazza del Popolo
ritorno, saranno circa 5 km a sera che mi faccio, e camminando il pensiero si
mette in moto. Se tu ti trovi a casa fermo e provi a farti venire in mente
qualcosa, ti si blocca il cervello, non sai cosa dire, intanto il nucleo
familiare ti blocca, ti frena. Uscire e camminare significa mettere in moto il
pensiero, tutto quello che hai di buono dentro si mette in moto. Ho un'agendina
elettronica e spesso mi fermo e scrivo e così nascono le mie canzoni.
Per
concludere un'ultima riflessione su questo tuo ultimo lavoro.
Alla base di
questo mio ultimo lavoro, a parte del lato poetico di cui abbiamo parlato, c'è
l'aspetto sociale, tutto quello che io metto dentro è finalizzato al sociale,
non è astratto. Quindi come dico in Un treno di conseguenza, io mi scaglio
fondamentalmente contro il luogo comune di dare tutto per scontato, e così come
amo profondamente certa gente, te lo senti a pelle, la gente vera, perchè c'è la
bella gente, detesto fondamentalmente la furbizia e la megalomania della gente.
Il narcisismo che c'è nella gente lo inseguo con cattiveria. Appena mi rendo
conto che ho vicino una persona furba, con il sorrisino furbo, di quello che fa
il superficialone per fregarti, l'idea che certa gente ha dentro, come unico
obiettivo, di fregare te prima che tu freghi me, quello è un mio nemico, non
sarà mai un mio amico. Amo la bella gente. Nelle mie canzoni c'è questa rabbia,
questo volere sottolineare che esiste la bella gente. Qualche volta sul palco
qualche musicista mi dice: "Ennio, mi piace di te, che tu credi ancora nella
gente!", in modo ironico, come dire: "Ma sei scemo, credi ancora nella gente?".
Si, io ci credo, credo nella bella gente, ne incontro, sono pochi, però ne
incontro. Un cantautore, secondo me, ha questo dovere, se no son cantautori
tutti, anche Gigi D'Alessio è cantautore, non ha più senso. Invece, secondo me,
la figura del cantautore è giusto che ci sia, ma deve servire a toccare delle
cose che siano, diciamo, contro corrente, quntomeno.
Ringrazio Ennio Rega per la disponibilità e simpatia con cui ha accettato di
rispondere alle mie domande e lo saluto con un grosso in
bocca al lupo per la sua carriera. |