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15 Febbraio 2003


L’utilizzo delle farine animali, una problematica complessa

Con il termine “farine animali” evochiamo una "grande paura": quella dell'alimentazione quotidiana. L'uso oggi messo sotto accusa con grande clamore è quello dei residui della lavorazioni della carni come proteine nell'alimentazione del bestiame.

E c’è dell’altro, purtroppo. Infatti, come saprete bene, le problematiche sorte negli ultimi anni si sono aggravate nel momento in cui si è scoperto che una grave patologia (nota come BSE) abbia contagiato (chissà quanti) uomini. Non si tratta di rifugiarsi in utopie bucoliche arcaiche, si tratta invece di capire i pericoli reali che l’utilizzo delle farine comportano sulla salute dell’uomo e sul benessere

dell’animale. Anche i produttori chiedono di vederci chiaro nella faccenda, avendo riscontrato come sia piuttosto semplice mandare all’aria anni di duro lavoro.

Nel caso della BSE si è dato libero sfogo all’informazione d’allarme, invece di proporre una lettura dei meccanismi che hanno determinato il problema.

Che cosa si intende per farine animali?

I rifiuti riciclati dei mattatoi che diventano cibo per animali. Raccolti, trattati con calore e poi molati. Nell’era del boom economico, della “fame” di preziose proteine a basso costo, nessuno si poneva domande superflue. Eppure sorge immediatamente una implicazione di carattere etico: è contro-natura infatti alimentare degli animali erbivori con carne. La qualità della stessa poi, lasciava certamente a desiderare, ma seguendo la regola economica “che nulla si crea, tutto si ricicla”, le farine hanno costituito parte integrante delle razioni animali.

Uno spettro ancora presente, nonostante le leggi

Come si è detto in apertura, durante gli ultimi anni, i media hanno preferito attuare una informazione d’allarme, che è servita solo a far crollare temporaneamente i consumi di carne bovina. La Comunità Europea, che deve vigilare sulla sicurezza alimentare dei propri cittadini, ha bandito l’utilizzo delle farine animali tramite un decreto recepito dai diversi stati membri.

Ogni anno nell'Ue vengono però prodotte 6,2 milioni di tonnellate di «farine animali» per mangimi. Dunque, torneranno le farine a base di carne nell'alimentazione degli animali? A sentire l’intervista rilasciata dal commissario europeo all'agricoltura Franz Fischler ai giornalisti del “Figaro”, c’è poco di che rallegrarsi. Lo stesso Fischler commenta: "Per i ruminanti, è assolutamente escluso. Ma per gli altri, voglio ricordare che le farine sono prive di qualsiasi materiale a rischio dalla fine dell'anno scorso; contengono solo ingredienti autorizzati per il consumo umano. È ragionevole mantenere un divieto costoso e complesso sul piano pratico? Stiamo lavorando attivamente su questo problema e il dibattito riprenderà".

I bovini poi, degli allevamenti italiani in cui è stata riscontrata la presenza occasionale di mangimi contenenti proteine animali, potranno essere nuovamente commercializzati. A stabilirlo è un decreto del ministero della Sanità, che permette il superamento dei vincoli imposti agli allevamenti come misura per fronteggiare la BSE. In particolare, spiega una nota del ministero delle Politiche agricole che ha collaborato nella definizione del provvedimento, viene superata la norma che prevedeva l'apposizione sul documento identificativo di tutti i capi dell'allevamento in cui si era registrata la presenza di mangimi contaminati, dell'indicazione "animale a rischio BSE". L'obiettivo, precisa il ministero, è quello di contenere le evidenti conseguenze economiche e sociali cui sono state finora esposte le imprese agricole.

Usare farine animali: una “necessità” industriale

La ricerca del minor costo per il maggior profitto ha portato i responsabili dei grandi gruppi di produttori di farine a rifiutare in modo sistematico le norme pubbliche di trasparenza (tracciabilità) e d'informazione agli allevatori sulle caratteristiche e la composizione dei prodotti forniti. Nel luglio 1996, la Confederazione contadina ha presentato la prima querela contro ignoti per la questione BSE, ma la giustizia è lenta. I poteri pubblici francesi ed europei, talvolta così pronti nell'adottare delle misure, anche legislative, lo sono molto meno nell'applicarle e nel farle rispettare. Come se non bastasse, nell'Unione Europea sono prodotti anche 1,8 milioni di tonnellate di animali domestici morti (per strada o dai veterinari) finiscono ogni anno nelle farine proteiche destinate a integrare i mangimi per gli allevamenti di suini, pesci e pollame.

Attualmente, secondo le fonti della commissione, i resti di animali domestici morti sono considerati come «materiale ad alto rischio» dalla legislazione europea, che però ne permette appunto l'utilizzazione come materia prima per le farine animali: secondo le norme Ue, il trattamento di sterilizzazione termico previsto (cottura a 123 gradi centigradi, e a 3 bar di pressione per venti minuti) è sufficiente per inattivare gli agenti patogeni microbiologici tradizionali.

In conclusione

Le "proteine animali trasformate" sono consentite solo per gli animali non produttori di alimenti per l'uomo, fatta eccezione per le farine di pesce che possono essere utilizzate nei non ruminanti solo previa autorizzazione regionale. Sono proprio e farine di pesce ad andare tanto di moda negli ultimi periodi per la famosa questione degli alimenti funzionali arricchiti con acidi grassi polinsaturi. Risultato: pesci allevati con farine degli scarti della lavorazioni delle loro carni. Vedi i bovini, copia e incolla eventuali problemi.
 


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