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Sull'elenco
telefonico di Palermo alla voce "alberghi",
risulta stampata come il vostro o il mio cognome
e nome, non è neppure in grassetto.
Un tocco snob tutto palermitano se si considera
che alberghettí di seconda categoria occupano
"spazi" da mezza pagina e magari a colori.
Oggi è al civico 398 di Via Roma. Ma solo da
poco.
Da quando hanno
aperto quella strada intitolata a Roma capitale.
E pensare che da lì è passata la storia più
recente, travagliata e segreta di questa città.
Fu, in origine, la
casa di Benjamin Ingham, quello del marsala. Una
costruzione severa a due piani, con le finestre
che sporgevano su un bel giardino tropicale
fatto di cactus, ficus, ibiscus, banani e tante,
tante palme.
Di fronte la chiesa gotica di rito anglicano
eretta a spese degli Ingham.
Insomma un angolo
Inglese coloniale com'era di moda a metà
Ottocento. Finì |
d'arredarla nel
maggio dei 1860 mentre in città si sparava per
le strade. Vide poco dell'unità italiana perché
morì il 4 marzo dei 1861.
Il nipote Ben
Ingham junior ebbe appena il tempo di
completarla per compiacere la moglie Emily che
lasciò vedova nel 1872. Si consolò presto
sposando Giacomo Medici, ex garibaldino,
prefetto di Palermo, futuro marchese del
Vascello a cui però Palermo andava stretta:
emigrarono a Roma
L'immobile fu acquistato da Enrico Ragusa, già
proprietario del "Trinacria" di Via Butera: fu
lui a trasformare la bella dimora degli Ingham
in "Grand Hotel et des Palmes", ma per i
palermitani subito (e per sempre) "le Palme".
E' lontano da
quello di allora: le strade laterali l'hanno
amputato, raccorciato, umiliato in uno spazio
senza più verde. Le due palme tisicuzze messe lì
davanti inducono a penose riflessioni. E' stato
ristrutturato, sopraelevato, ridipinto, ma a
dispetto degli uomini, riaffiora ancora
il |
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gotico, il
neoclassico il liberty, il barocco.
I primi ospiti importanti furono Wagner e la
moglie Cosima Liszt: scesero il 5 novembre 1881
in un appartamento a due stanze tutte specchi e
dorature.
La spinetta su cui lavorò per il Parsifal sparì
nel gran bailamme del secondo dopoguerra.
Crispi arrivò
nell'85, da presidente del Consiglio, ma nel '93
da quella roccaforte diresse le operazioni
contro i "Fasci Siciliani": 30.000 soldati
impegnati contro contadini affamati e senza
speranze.
Gli altri ospiti
s'occupavano solo di duelli incruenti: la
fastosa hall fu luogo deputato "per il guanto"
che si lanciava in pubblico, davanti a tutti.
Nel 1907 il celebre architetto Ernesto Basile,
il figlio di Gian Battista Filippo, lo adeguò al
"Novecento": sparì il superato "jardin d'hiver".
Era arrivata la Grande Guerra.
Il "presidente
della vittoria" Vittorio Emanuele Orlando
pretese la cucina francese con almeno dodici
portate che consumava sotto lo sguardo
implacabile di un Crispi a olio che un generale
americano, più tardi, si porterà in USA...
Fra le due guerre calarono quì dalla provincia,
discretamente, i mafiosi delle campagne per i
primi incontri ad alto livello. C'era pure
Cesare Mori, il prefetto di ferro, ma lui era
convinto di averli debellati per sempre.
Arrivarono pure
labari e gagliardetti a contorno di funeree
camicie nere che non piacquero al camerieri: non
si cambiavano per cena, scambiarono spesso le
nobildonne per "cocottes" e soprattutto non
lasciavano mance.
Alla "224" scese
il francese Raymond Roussel ormai distrutto da
alcol e droga. Al cameriere Masino Orlando
chiese di tagliargli le vene per cento franchi,
ma pare che abbia provveduto la sua tata
Charlotte Fredez. Gli "Atti relativi alla morte
di Raymond Roussell" saranno pubblicati nel 1971
da Leonardo Sciascia che ci scoprirà mille
contraddizioni e tante cose strane.
Nella vicina "242"
nel 1937 una spia inglese finì con un coltello
fra le scapole, ma tutto passò sotto silenzio
per ordini dall'alto...
Le bombe
dell'ultima guerra giocarono a rimpiattino con
le Palme: nel marzo del '43 una bomba finì
davanti l'ingresso principale senza esplodere;
un'altra attraversò l'edificio da parte a parte
passando sulla testa del barone Vincenzo Greco
Militello che fu svegliato dal suo sibilo.
Ma non protestò
con la direzione, anzi per lo scampato pericolo
si mise a conquistare femmine su femmine perché
"aveva visto la morte con gli occhi"!!
Nel dopoguerra si videro fra quelle mura
ufficiali americani, intrallazzisti,
separatisti, banditi, mafiosi, monarchici allo
sbando...
Il colonnello
Charles Poletti arrivava sulla sua Packard del
'38 "cadeau" del boss Vito Genovese, Don Calò
Vizzini con i suoi guardaspalle, Lucky Luciano
con Igea Lissoni, bellissima ballerina della
Scala. I camerieri finirono con l'odiare Genco
Russo che masticava tabacco che sputava poi sul
tappeti.
Le squillo che
bivaccavano sui divani erano da "ventimila a
notte", un alto magistrato ne guadagnava 60.000
al mese, la carne costava 490 lire al chilo, il
burro 1.250...
La fauna
dell'albergo s'arricchì di politici e spie,
oltre che di mafiosi di vario rango, ma fu il
momento d'oro di Agostino La Lomia, un barone di
Canicattì, cliente fisso della "124": sosteneva
che c'era stato concepito.
Si spediva lettere
ogni giorno per farsi urlare, ( ... dietro lauto
compenso) dal "concierge": "Signor barone c'è la
posta...".
Sbarcava alle
Palme con l'Eccellenza Referendario Paolo
Annarino il suo gatto e un merlo che esibiva un
biglietto da visita che lo qualificava
"Monsignore Turi Capra, duca di Santa Flavia».
Nel 1957 si tenne
proprio alle Palme il primo summit mondiale
della mafia: fu decisa l'eliminazione di
Anastasia e la commercializzazione della droga.
Nella "129" la CIA osservava...
Disse Sandro
Attanasio, ex direttore, "sono uscito dalle
Palme vivo e incensurato; era più di quanto
sperassi...".
Il 2 agosto del
1965 il boss Charles Orlando, sempre elegante ed
impeccabile come un lord inglese, fu arrestato
all'alba, ma chiese ai poliziotti di fare le
cose senza strepiti per non svegliare i vicini
di camera che erano brava gente....
Ci scesero Michele Sindona e le gemelle Kessler,
Guttuso, Andreotti, Pasolini, Dario Fo e Franca
Rame, divertiti dal vecchio barone Cimino che
ripeteva a tutti "che volete? io sono un
aristocratico, non posso condividere le gesta di
quel masnadiero di Garibaldi...".
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Nel 1981 si
ristrutturò ancora una volta: sparì la porta
girevole dell'ingresso che mi divertì da
bambino, ma rimase al suo posto l'orologio di
bronzo della hall senza lancette.
L'ultimo "pezzo"
delle Palme se n'è andato recentemente: Il
"204", al secolo il barone Guseppe Di Stefano di
Castelvetrano che vi abitava da ben quarant'anni.
E' morto a 92 anni.
Si sussurrò che
fosse stata la mafia a costringerlo a quel
volontario esilio, a quella prigione dorata; si
parlò pure di una "storia" con la donna di un
mafioso, ma nessuno lo saprà mai.
Come un fantasma
si aggirava fra le piante tropicali del "roof
garden" e si nutrì con antiche ricette siciliane
che
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parsimoniosamente
centellinò allo "chef" in cambio di notizie sul
mondo esterno perché per quaranta anni non lesse
giornali e aborrì la televisione.
La sua bara ha
avuto il privilegio d'uscire dall'ingresso
principale con il saluto del personale schierato
nella hall.
Un addio a un
pezzo di storia di questa città.
Alle Palme ci vado
spesso per farmi coccolare da Toty Librizzi. un
barman unico al mondo e che solo lì si può
incontrare.
Perché alle Palme
l'orologio di bronzo è sempre senza lancette.
Tratto da: “Palermo è …..” di Gaetano
Basile, edito da Dario Flaccovio Editore di
Palermo.
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