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Giulio Brogi
(voce fuori campo e cardinale): A lei
è affidato un doppio compito, nel prologo dà
voce a padre Puglisi, mentre nel finale
interpreta il cardinale. Con che animo si è
avvicinato a due personaggi così diversi fra
loro? |
I due personaggi
sono in realtà lontani come servitori degli
uomini, tuttavia sono vicini come servi di Dio.
E’ chiaro che hanno itinerari diversi.
Padre Puglisi era immerso nel popolo, vivendone
le emozioni, le miserie e le ansie, trovandosi
più a contatto di gomito e dovendosi confrontare
con esso minuto per minuto, attimo per attimo.
Il cardinale, invece, è comunque un po’ più
staccato dal quotidiano del suo gregge e quindi
lo guarda con posizione più critica, meno
partecipe, meno emotiva. Ho cercato quindi di
tirare fuori dal primo personaggio, da quel
prete piccolo, ma figura immensa, grandissima,
che viveva a stretto contatto con la miseria
umana, questa sua forte umanità, dall’altro ho
cercato di tirar fuori il momento politico e
critico.
Gianna
Giachetti (madre Vincenza): In
platea è disegnata una croce, cosa simboleggia e
quale è il messaggio che ci vuole dare il poeta?
La croce in sala
simboleggia la salvezza. Il mio personaggio si
aggrappa alla fede, cerca le sue risposte e
affida le sue speranze al disegno divino.
Accettarlo è fondamentale, per scoprire inoltre
i propri errori e cercare di crescere sempre. Mi
sono avvicinata a questo personaggio con
passione e non è la prima volta che affianco un
ministro del bene così grande come Padre Puglisi,
infatti in passato ho interpretato la perpetua
di Don Milani, dove ho capito che per stare al
fianco di grandi uomini di chiesa si deve essere
per forza forti e determinati, e questa forza ho
cercato di dare anche a madre Vincenza, che
anche se si rifugia nella preghiera e nella fede
lo fa con fermezza, nella ricerca sempre della
salvezza.
Alfonso
Veneroso (sicario): In un
crescendo di ipotesi e di dubbi il sicario ha la
sua certezza. Il suo unico scopo diventa
l’attesa del “giudice” che lo aiuti a
raccogliere “il fiore del dolore”. Quale
messaggio possiamo raccogliere noi?
Non è che il
carnefice non ha dubbi, sente il dolore, alla
fine è l’unico personaggio che elabora il
dolore. La morte di una persona in un modo così
brutale diventa, anche per i credenti, un
mistero nel disegno divino. Tutti cercano di
capire ma non riescono, solo il prete si
avvicina dicendo “Il mistero della profezia non
si può conoscere”. Per paradosso l’unico che lo
prova sulla sua carne è il sicario, che toccando
il fondo trova Dio, elaborando il fiore del
dolore, dapprima con rabbia verso se stesso, poi
con rabbia verso gli altri e alla fine dicendo
“Odorerò quel fiore e rinascerò” capisce che
elaborando il dolore si arriva all’amore, al
perdono, alla conversione e che bisogna soffrire
per dare.
Umberto Cantone
(opinionista): Il suo personaggio si
trasforma pian piano da osservatore esterno a un
tassello del puzzle che è la realtà palermitana.
Lei da uomo come lo ha vissuto?
Bisogna intanto
sottolineare che l’atteggiamento
dell’opinionista, rispetto a questa realtà che
subito si dimostra complessa e non facilmente
interpretabile, è lo stesso di Luzi, e devo dire
anche il mio. Accettare la complessità non è
sfuggire dalla realtà, ma è un atteggiamento
critico che può alla fine avvicinare alla
verità. E ciò sposa benissimo con la realtà di
Palermo, io da palermitano la vivo e so
benissimo che è una realtà complessa. Il
personaggio rimane incantato dal mistero del
bene, più che dal mistero del male, e avvertire
ciò lo porta a sentire vivo qualche cosa che ha
a che fare con lo spirituale, con l’anima.
Liliana
Paganini (Annarosa): Lei
rappresenta la Palermo che si pone domande
angoscianti sul suo stato, ma con
consapevolezza, al punto che sembra diventare il
dono più grande lasciato da Don Puglisi. E’
forse questo il messaggio che il poeta ci vuole
dare?
Il poeta ha
scritto questo personaggio ispirandosi alle
signore dell’alta borghesia, che sono molto
consapevoli e usano una grande speculazione
intellettuale sugli avvenimenti. Non rimangono
avulse dal sociale, usano tutti gli strumenti
che hanno per cercare di capirlo. Don Puglisi ha
dato in più con la sua morte il bisogno di
riflettere, la città si è interrogata, non era
un mafioso che veniva ucciso, non era un
politico, non era un uomo qualunque, era una
persona impegnata nel sociale, un religioso, che
non doveva assolutamente essere toccato.
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IL RAPPORTO CON LA CUCINA E IL CIBO
Durante lo
spettacolo si parla di spaghetti, il pubblicista
gusta una fetta di cassata, e si vedono
camerieri che portano tazze di caffè e bibite.
Qual è il suo rapporto con la cucina e il cibo?
Giulio Brogi:
Il mio rapporto con la cucina ed il cibo è molto
godereccio e amo molto la tavola come un momento
conviviale e di aggregazione con gli amici,
tuttavia sono più un bevitore che un mangiatore.
Per quanto riguarda il cucinare a casa mia a
Verona ho un forno a legna e cucino spesso il
pane, e poi mi riesce bene un dolce casalingo,
che ho imparato a fare da mia madre, una
focaccia, tipica di Verona, molto semplice a
base di farina, burro, uova e zucchero.
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Gianna
Giachetti: Io ho cominciato a recitare da
giovane e il mio rapporto con la cucina è stato
quasi sempre legato alla ricerca di ristoranti e
trattorie che offrissero una cucina regionale
più genuina possibile. Non sono una bevitrice,
non bevo nemmeno lo spumante, amo molto i
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vegetali e se
posso non mi cibo di carni. Sono molto legata
alla cucina Toscana, anche se girando in lungo e
in largo l’Italia ho potuto apprezzare le
diverse cucine regionali.
Alfonso
Veneroso: Il mio rapporto con la cucina e il
cibo è un rapporto direi erotico, e per me è
stato sempre un piacere profondo, prima
sfruttando mamma, nonna o fidanzata, poi quando
per lavoro mi sono trovato da solo ho imparato a
cucinare e a ricercare la buona cucina. Sapere
cucinare per me è un modo di volermi bene, amo
la cucina schietta, ricca e semplice allo stesso
tempo, amo molto il piccante e faccio molto uso
di peperoncino. Amo da palermitano la semplicità
fantasiosa della cucina siciliana. Mentre faccio
teatro per ovvi motivi mi trattengo, ma quando è
finito mi scateno.
Umberto Cantone:
La cassata che io assaggio durante lo spettacolo
ha qualcosa di misterioso, è la metafora del
pesante leggero, ed è diventato un po’ il
marchio della nostra città. D’altra parte io ho
un rapporto “erotico” con i dolci e poi sono
convinto che i dolci palermitani sono il
massimo, abbiamo una grande pasticceria. Ho poco
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tempo per
cucinare, e viaggiando per l’Italia ho imparato
l’arte della ricerca del buono, sono diventato
insomma un grande esperto di strategia
alimentare fuori sede. Sono fine convinto che il
cibo ha a che fare con il gusto, quindi
appartiene al campo dell’arte.
Liliana
Paganini: Io ho un rapporto meraviglioso con
il cibo, mi piace sia mangiare che cucinare, in
più uso leggere libri di ricette ed immaginare i
piatti. Cucino nei limiti delle mie possibilità
sia nel tempo che nelle capacità, non mi metto
in imprese tipo pasta all’uovo o soufflè, ma
realizzo ricette di media difficoltà. Mi piace e
mi rilassa, per cui cucino sia per me e per mia
figlia, sia anche per altri. Sono romana, ma
vivo a Palermo da circa 5 anni ed ho quindi
imparato ad apprezzare la cucina siciliana,
molto ricca e “golosissima”.
Ringraziando mi
commiato dalla compagnia che mi ha accolto con
tanta simpatia e con tanta disponibilità. |