Giugno

2004

Spaghetti Italiani - Portale di Gastronomia

Giugno

2004

 

by FreeFind


foto di Luigi Farina ©2004

Le cucine regionali non devono essere considerate come cucine inferiori. Sono, invece, serbatoi di un repertorio antico e nuovo, che concede al piacere della tavola, tenendo conto dei moderni orientamenti sulla salute e sull'armonia alimentare. Esse rappresentano i pilastri della cucina italiana.

La gastronomia partenopea, in quanto mediterranea, è stata sicuramente influenzata dai vari popoli (Fenici, Greci, Arabi, Francesi, ecc.), che, dai tempi lontani ad epoche recenti, ebbero frequenti rapporti con le nostre regioni costiere. Ed infatti molti piatti della nostra cucina di oggi, ci vengono direttamente dal passato (gli struffoli e il capretto con uova e piselli dalla Grecia, l'utilizzo dell'aglio, dell'olio e del basilico dalla Provenza, ...).

Il primo vero ricettario napoletano è il Cuoco Galante di Vincenzo Corrado del 1765. Trattasi di una raccolta di ricette di piatti "ricchi", in quanto il Corrado aveva esperienze solo di case di facoltosi signori.

Nella Cucina teorico pratica del Duca di Buonvicino di don Ippolito Cavalcanti già si intravede qualche esempio di "cucina povera" nel napoletano. In prevalenza, però, il Cavalcanti fa riferimento alla cucina francese di moda nelle famiglie patrizie e dell'alta borghesia.

Solo nel 1884, nel suo Ventre di Napoli, Matilde Serao ci informa sull'alimentazione della "plebe" e ci parla di alcune ricette popolari come la zuppa di meruzze e la zuppa di freselle con il brodo di polpo.

Siamo convinti che le tradizioni enogastronomiche dei popoli siano legate strettamente al carattere e, naturalmente, alle condizioni economiche, sociali ed ambientali degli stessi.

A Napoli ed in Campania le testimonianze del passato splendore di città europea e di capitale si manifestavano anche in cucina. L'influsso delle culture è stato adattato alle esigenze, al gusto, al carattere del popolo. ecco perchè la cucina regionale campana è a volte ricca e fastosa (timballo di maccheroni, sartù di riso, ...) ed a volte fantasiosa e povera (caponata, pizza, ...). In sostanza i napoletani sono stati sempre capaci di nutrirsi gustando anche una sola fetta di pane condita con un filo d'olio e un pizzico di sale, mentre era festa grande quando potevano dare fondo a ricchi piatti.

Ecco perchè la pizza è nata a Napoli e non altrove.

Oggi la pizza, ormai diffusa in tutto il mondo, è elevata a rango di stuzzichino, di "sfizio". Fino a non molto tempo fa costituiva il pasto quotidiano per una grandissima parte di napoletani.

Essa ha origini antichissime, un primo esempio ci viene certamente dai romani, anche se in realtà era una focaccia.

All'inizio del '600, nel suo Lo cunto de li cunti il Basile, nella novella intitolata Le due pizzelle, ci parla appunto di una specie di pizza, naturalmente si trattava sempre di qualcosa di diverso della nostra attuale pizza.

Solo con la produzione del pomodoro in Campania, a partire dal 1700, si stabilì quel matrimonio fantastico che portò prima alla pizza al pomodoro e poi, nel 1889, alla regale Margherita inventata, come ormai tutti sanno, dal pizzaiolo napoletano Raffaele Esposito in onore alla Regina Margherita.

Si dice che la cucina napoletana è povera, fatta per poveri. A mio avviso bisogna aggiungere che è ricca di fantasia ed estremamente varia, proprio come il carattere dei napoletani. Basta pensare ad un piatto di pomodori tagliati, una foglia di basilico, un po' di origano, aglio ed olio ed avete a disposizione una cena stupenda per una serata di agosto.

Ma anche quando è ricca e sontuosa non è mai complicata, poichè si basa su ricette semplici, su cibi schietti e dal sapore preciso, pieno di profumi ed umori. Il difficile sta proprio nella capacità di mantenere, dopo la cottura, la fragranza dei singoli ingredienti.

In sostanza nella cucina campana i sapori sono e restano quelli primari dei singoli ingredienti. Tra l'altro il motivo è semplice: le risorse alimentari di questa regione sono state sempre di carattere essenzialmente agricole, e l'appellativo di "Campania Felix" significa appunto la fertilità di una vastissima campagna. E naturalmente anche dei prodotti del mare. Ecco perchè dominano molti legumi, ortaggi, frutta, pesce, ma poca carne (in particolare ovina, famoso il castrato del cilento). Proprio per questo motivo fino al settecento i napoletani, o meglio i "cafoni", venivano chiamati "mangiafoglie".

Con l'avvento dei maccheroni nella zona immediatamente vicina a Napoli (Torre del Greco, Gragnano, ...) fiorirono numerose aziende dell'industria bianca, con maestri artigiani di alta professionalità.

Nacque in quest'epoca l'uso di unire la pasta agli ortaggi e quindi quella grande varietà di piatti (pasta e zucchine, pasta e broccoli, pasta e fagioli, ...), che ancora oggi sono molto ricercati. Il Cavalcanti, nella sua già citata opera, accenna ai ceci e laganelle.

Quando in seguito i maccheroni si sposarono allegramente con i pomodori, e da "mangiafoglie" i napoletani diventarono "mangiamaccheroni", allora la fantasia si sbizzarrì con l'invenzione di salse e salsette. Ancora oggi si può dire che non si è esaurita la fantasia, la ricerca, tanto che si sente spesso di nuovi

Museo di Pulcinella - Acerra (NA)

abbinamenti, nuove trovate e nuove esperienze. Ed è proprio questo il bello della gastronomia, non si esaurisce mai, anche perchè con i tempi variano anche i gusti. Si spiega così perchè oggi sono molto ricercati i piatti tipici regionali, naturalmente rivisitati ed adeguati alle nuove mode.

Le ricette che presentiamo nel nostro ristorante sono appunto frutto di questo lavoro. Alcune appartengono al secolo scorso (linguine 'ncaciate, tubetti alla chiaiese, ...), altre invece sono frutto di ricerche ed esperienze fatte direttamente in cucina.

 

Realizzazione: Luigi Farina ( lfarina52@hotmail.com )

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