foto di Luigi
Farina ©2004 |
Le cucine
regionali non devono essere considerate come
cucine inferiori. Sono, invece, serbatoi di un
repertorio antico e nuovo, che concede al
piacere della tavola, tenendo conto dei moderni
orientamenti sulla salute e sull'armonia
alimentare. Esse rappresentano i pilastri della
cucina italiana.
La gastronomia
partenopea, in quanto mediterranea, è stata
sicuramente influenzata dai vari popoli (Fenici,
Greci, Arabi, Francesi, ecc.), che, dai tempi
lontani ad epoche recenti, ebbero frequenti
rapporti con le nostre regioni costiere. Ed
infatti molti piatti della nostra cucina di
oggi, ci vengono direttamente dal passato (gli
struffoli e il capretto con uova e
piselli dalla Grecia, l'utilizzo dell'aglio,
dell'olio e del basilico dalla Provenza, ...).
Il primo vero
ricettario napoletano è il Cuoco Galante
di Vincenzo Corrado del 1765. Trattasi di una
raccolta di ricette di piatti "ricchi", in
quanto il Corrado aveva esperienze solo di case
di facoltosi signori.
Nella Cucina
teorico pratica del Duca di Buonvicino di
don Ippolito Cavalcanti già si intravede qualche
esempio di "cucina povera" nel napoletano. In
prevalenza, però, il Cavalcanti fa riferimento
alla cucina francese di moda nelle famiglie
patrizie e dell'alta borghesia.
Solo nel 1884, nel
suo Ventre di Napoli, Matilde Serao ci
informa sull'alimentazione della "plebe" e ci
parla di alcune ricette popolari come la
zuppa di meruzze e la zuppa di freselle
con il brodo di polpo. |
Siamo convinti che
le tradizioni enogastronomiche dei popoli siano
legate strettamente al carattere e,
naturalmente, alle condizioni economiche,
sociali ed ambientali degli stessi.
A Napoli ed in
Campania le testimonianze del passato splendore
di città europea e di capitale si manifestavano
anche in cucina. L'influsso delle culture è
stato adattato alle esigenze, al gusto, al
carattere del popolo. ecco perchè la cucina
regionale campana è a volte ricca e fastosa (timballo
di maccheroni, sartù di riso, ...) ed
a volte fantasiosa e povera (caponata,
pizza, ...). In sostanza i napoletani sono
stati sempre capaci di nutrirsi gustando anche
una sola fetta di pane condita con un filo
d'olio e un pizzico di sale, mentre era festa
grande quando potevano dare fondo a ricchi
piatti.
Ecco perchè la
pizza è nata a Napoli e non altrove.
Oggi la pizza,
ormai diffusa in tutto il mondo, è elevata a
rango di stuzzichino, di "sfizio". Fino a non
molto tempo fa costituiva il pasto quotidiano
per una grandissima parte di napoletani.
Essa ha origini
antichissime, un primo esempio ci viene
certamente dai romani, anche se in realtà era
una focaccia.
All'inizio del
'600, nel suo Lo cunto de li cunti il
Basile, nella novella intitolata Le due
pizzelle, ci parla appunto di una specie di
pizza, naturalmente si trattava sempre di
qualcosa di diverso della nostra attuale pizza.
Solo con la
produzione del pomodoro in Campania, a partire
dal 1700, si stabilì quel matrimonio fantastico
che portò prima alla pizza al pomodoro e
poi, nel 1889, alla regale Margherita
inventata, come ormai tutti sanno, dal pizzaiolo
napoletano Raffaele Esposito in onore alla
Regina Margherita.
Si dice che la
cucina napoletana è povera, fatta per poveri. A
mio avviso bisogna aggiungere che è ricca di
fantasia ed estremamente varia, proprio come il
carattere dei napoletani. Basta pensare ad un
piatto di pomodori tagliati, una foglia di
basilico, un po' di origano, aglio ed olio ed
avete a disposizione una cena stupenda per una
serata di agosto.
Ma anche quando è
ricca e sontuosa non è mai complicata, poichè si
basa su ricette semplici, su cibi schietti e dal
sapore preciso, pieno di profumi ed umori. Il
difficile sta proprio nella capacità di
mantenere, dopo la cottura, la fragranza dei
singoli ingredienti.
In sostanza nella
cucina campana i sapori sono e restano quelli
primari dei singoli ingredienti. Tra l'altro il
motivo è semplice: le risorse alimentari di
questa regione sono state sempre di carattere
essenzialmente agricole, e l'appellativo di
"Campania Felix" significa appunto la fertilità
di una vastissima campagna. E naturalmente anche
dei prodotti del mare. Ecco perchè dominano
molti legumi, ortaggi, frutta, pesce, ma poca
carne (in particolare ovina, famoso il castrato
del cilento). Proprio per questo motivo fino al
settecento i napoletani, o meglio i "cafoni",
venivano chiamati "mangiafoglie".
Con l'avvento dei
maccheroni nella zona immediatamente
vicina a Napoli (Torre del Greco, Gragnano, ...)
fiorirono numerose aziende dell'industria
bianca, con maestri artigiani di alta
professionalità.
Nacque in quest'epoca
l'uso di unire la pasta agli ortaggi e quindi
quella grande varietà di piatti (pasta e
zucchine, pasta e broccoli, pasta
e fagioli, ...), che ancora oggi sono molto
ricercati. Il Cavalcanti, nella sua già citata
opera, accenna ai ceci e laganelle.
Quando in seguito
i maccheroni si sposarono allegramente con i
pomodori, e da "mangiafoglie" i
napoletani diventarono "mangiamaccheroni",
allora la fantasia si sbizzarrì con l'invenzione
di salse e salsette. Ancora oggi si può dire che
non si è esaurita la fantasia, la ricerca, tanto
che si sente spesso di nuovi |
Museo di
Pulcinella - Acerra (NA) |
abbinamenti, nuove
trovate e nuove esperienze. Ed è proprio questo
il bello della gastronomia, non si esaurisce
mai, anche perchè con i tempi variano anche i
gusti. Si spiega così perchè oggi sono molto
ricercati i piatti tipici regionali,
naturalmente rivisitati ed adeguati alle nuove
mode.
Le ricette che
presentiamo nel nostro ristorante sono appunto
frutto di questo lavoro. Alcune appartengono al
secolo scorso (linguine 'ncaciate,
tubetti alla chiaiese, ...), altre invece
sono frutto di ricerche ed esperienze fatte
direttamente in cucina.
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